domenica, marzo 11, 2007

Civiltà è riconoscere dignità alla Donna

Viene affermato da più parti che la cartina al tornasole per valutare il grado di civiltà di una società è il modo con cui questa tratta le donne e gli stranieri. Non c'è cosa più veritiera.
Il nostro etnocentrismo è un pericolo perché non ci fa capire appieno il mondo appena fuori i nostri ben limitati orizzonti, così gli stereotipi dell'immigrato, del "diverso", dello strano, conducono troppo velocemente a etichettare lo straniero come criminale, vagabondo, una persona su cui puntare il dito e basta. La diversità, che è insita, spesse volte non è sinonimo di opportunità e conoscenza ma di paura e discriminazione. Il nostro cervello preferisce percorrere strade corte, ed è più facile passare a delle superficiali conclusioni che aver voglia di conocerere e capire le complessità che sono dietro. In sostanza, è uno strumento di difesa. Per le donne il problema è diverso ma assai più doloroso. Qualche mese fa, ho letto che la causa prima di morte o menomazione permanente delle donne nel nostro opulento e benestante Occidente sia imputata proprio alla violenza familiare (marito, fidanzato, convivente, padre), addirittura prima del cancro e delle guerre. Una notizia che mi ha esterrefatto. Lo stesso concetto viene ribadito da una recente indagine sistematica dell'Istat che vi invito a leggere ("La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia", 2006). A mio parere, il dato più allarmante che emerge da questa ricerca riguarda la violenza psicologica e la relativa non consapevolezza del popolo femminile di essere vittime, o almeno di non valutare serenamente la violenza come causa di una denuncia alla magistratura. In altre parole, le donne sono vittime anche della società stessa in cui vivono, permeata di una cultura maschilista in cui l'uomo è padrone in ogni sfera (lavorativa, religiosa, nei mass media). Un dato spaventoso: "Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner. Anche nel caso degli stupri la quasi totalità non è denunciata (91,6%). È consistente la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9% per quelle subite dal partner e 24% per quelle da non partner)". Lo stato d'animo delle vittime che fa più riflettere è la vergogna, oltre alla paura. Occorre parlare di questo vero dramma, denunciarlo pubblicamente, sensibilizzare le persone che proprio all'interno della famiglia "cristiana" accadono e continuano ad accadere fatti di violenza contro le donne. E' inaccettabile. La Chiesa italiana e la Santa Sede non intervengano nell'arena politica italiana per difendere a spada tratta la famiglia o rigettare altri tipi convivenza, non si rendano complici di questa IPOCRISIA e della sofferenza di tante donne, predichino con più incisività l'uguaglianza e la piena dignità fra donna e uomo ("Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello" Luca 6,41- 42). Omettere è peggio che commettere, è più subdolo. Solo il fatto di riempire ogni 8 marzo di appelli per il rispetto dei diritti della donna è sintomo, secondo me, di un'enorme arretratezza culurale, di quanta strada si debba fare sul tema, ed evidenzia come ciò che dovrebbe essere scontato non lo è affatto. Nazzareno Tomassini