lunedì, febbraio 18, 2008

Un'indipendenza azzardata

Una mia lettera all'Economist dell'ottobre 2005 sulla questione del Kosovo resta ancora attuale per comprendere i rischi e le problematiche future che ha innescato la nascita del nuovo Stato:
"According to public international law, there is no right to unilateral secession from a sovereign state. From time immemorial, the international community has strongly protect the territorial integrity and the inviolability of the borders, other than by mutual agreement. In one word: the stability of the international order. Although the principle (and the right later, with the relative obbligation upon the colonial countries) of self-determination of peoples was codified in the UN Charter, the application was limited to the context of decolonization within the inherited national border (uti possidetis iuris, the principle of respect for frontiers existing at the moment of independence). The rigth to self-determination amount to a 'special' independence, and the beneficiaries are peoples "geographically separate and distinct ethnically and/or culturally from the colonial power".
The end of the Cold War changed state practice with regard to recognition states created by the "dissolution" (not secession from...) of the Soviet Union and Yugoslavia, two federal states. The (constitutive) recognition by the European Community was more a matter of political discretion subject to several conditions than the traditional declaratory type based on the effective control of the territory. Kosovo ("The wheels grind on", October 8th) was sub-federal province of the SFRY and now is formally a part of Serbia and has the right of self-determination only internally. In other words: a "self-governing" entity enjoy of all rights upon minorities (as opposed to "peoples") within serbia sovereignty, the constituent part of a federal state. Granting Kosovo independence tout court, it will be a dangerous precedent/opportunity for the international community/secessionist movements in the time to come."

domenica, febbraio 10, 2008

La conversione degli ebrei nella liturgia cattolica

Avevo già sottolineato nel post del 14 luglio 2007 l'inconciliabilità delle due preghiere tridentine e post-tridentine pronunciate nel solenne Venerdì Santo a favore degli ebrei, e la necessità di un intervento chiarificatore da parte della Santa Sede. Papa Benedetto XVI ha autorizzato modifiche sostanziali alla preghiera di rito tridentino che adesso suona così:
"Preghiamo anche per gli ebrei, affinché Iddio Signore nostro illumini i loro cuori e riconoscano Gesù Cristo come Salvatore di tutti gli uomini. Preghiamo. Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini siano salvati e arrivino a riconoscere la verita', concedi benevole che tutto Israele sia salvato all'ingresso della pienezza dei popoli nella tua Chiesa". (Trad. latina: "Oremus et pro Iudaeis. Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum. Oremus. Flectamus genua. Levate. Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen."). (Trad. inglese: "Let us also pray for the Jews: that God our Lord might enlighten their hearts, so that they might know Jesus Christ as the Savior of all mankind. Let us pray. Let us bend our knees (kneel). Please rise. Almighty and eternal God, whose desire it is that all men might be saved and come to the knowledge of truth, grant in your mercy that as the fullness of mankind enters into your Church, all Israel may be saved, through Christ our Lord. Amen.").
Sono state eliminate parole come "cecità", "tenebre" e frasi come "tolga il velo dai loro cuori", tutte espressioni richiamate dalla letteratura paolina (2 Corinzi 3:13-16; 4:3-6;), ma rimane sempre l'intestazione della preghiera "per la conversione gli ebrei" e, più in generale, il suo significato proiettato verso una futura conversione degli ebrei, questione fortemente criticata dalle varie comunità ebraiche della diaspora, sopratuttto da quella americana, per la volontà di eliminare l'identità ebraica. A mio avviso, rimuovere questi termini offensivi va nella giusta direzione ma si deve sottolineare come le comunità ebraiche non possano e debbano intromettersi nella formulazione di una preghiera di altra fede. Le modifche non la rendono più offensiva e non giustificano ancora critiche. Il contesto della preghiera universale del Venerdì Santo per tutti gli uomini risalente alla prima Cristianità (cfr. 1 Timoteo 2:1-7) evidenzia la centralità di Gesù e della Croce per la salvezza dell'intera umanità, ebrei inclusi. Proprio la vocazione universale della Chiesa cattolica
(a differenza dell'ebraismo) e il suo dogma principale suggeriscono come non ci sia alternativa al corpo di Gesù Cristo per la salvezza. In questo quadro penso sia più che legittimo pregare per gli ebrei e invocare la loro conversione proprio durante la celebrazione del Venerdì Santo dove Gesù è morto per tutti. Sarà proprio San Paolo, l'Apostolo dei Gentili, che nella lettera ai Romani (9:1-5) vedrà nell'incredulità del popolo ebraico la colpa principale e l'ostacolo verso una conversione più intima che subìta esternamente:
"Perché l'incredulità dei Giudei
Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dá testimonianza nello Spirito Santo:
ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen."