sabato, luglio 14, 2007

Da "perfidi ebrei" a "fratelli maggiori": i rischi del ritorno alla Messa tridentina

Con la pubblicazione della lettera apostolica Summorum Pontificum ("Dei Sommi Pontefici"), in forma di motu proprio, Papa Benedetto XVI ha facilitato l'uso della liturgia di rito tridentino secondo il messale romano promulgato da Papa Giovanni XXIII nel 1962, "mai abrogato". L'iniziativa di Ratzinger certamente ha l'obiettivo principale di ricucire la strappo con i seguaci tradizionalisti dell'arcivescovo francese Marcel Lefébvre, scomunicato nel giugno 1988, ma potrebbe anche essere, suo malgrado, foriera di fondamentali conseguenze nei rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo.
Nel 1570, dopo il Concilio di Trento, Papa Pio V promulgò il messale romano che sostanzialmente rimase invariato, a parte la disciplina della notte di Pasqua e della Settimana Santa disposta da Papa Pio XII e la versione "emendata" di Papa Giovanni XXIII del 1962, fino alla revisione liturgica con cambiamenti di ampia portata decisa dal Pontefice Paolo VI nel 1969, in vigore dal 1970. Con questa premessa, cerchiamo di approfondire e capire meglio il rapporto tra la liturgia cattolica vigente e l'ebraismo.
Fino al 1959, alla preghiera universale del Venerdì Santo "per la conversione degli ebrei" il sacerdote pronunciava: «Preghiamo anche per i perfidi Ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed anche essi (ri)conoscano il Signore nostro Gesù Cristo. Dio onnipotente ed eterno, che non allontani dalla tua misericordia neppure la perfidia degli Ebrei, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per la cecità di quel popolo, affinché (ri)conosciuto Cristo, luce della tua verità, siano liberati dalle loro tenebre» (Trad. latina: "Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur"). Giovanni XXIII ha voluto, giustamente, eliminare l'aggettivo/sostantivo perfidi/perfidia dalla preghiera per evitare qualsiasi accostamento al significato assai denigratorio in italiano, benché il contenuto etimologico indichi mancanza di fede, incredulità nel non aver accolto la parola salvifica nella vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Lo svuotamento totale dell'antigiudaismo teologico (in opposizione all'antisemitismo) si ha, però, con Papa Paolo VI con la pubblicazione del nuovo messale romano nel 1970. Qui, la preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo cambia totalmente formula e contenuto: «Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua Alleanza. Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione. Per Cristo nostro Signore». A mio avviso, sono due preghiere appartenenti ad altrettanti riti liturgici pienamente equiparati da Papa Ratzinger, ma molto distanti nei loro significati, direi inconciliabili. Nel messale del 1962, nonostante siano state rimosse le parole perfidi/perfidia, rimane sempre l'intestazione della preghiera "per la conversione degli ebrei", assieme a termini ed espressioni offensive come "anche", "tolga il velo dai loro cuori", "cecità", "tenebre". Nella versione promulgata da Paolo VI, "espressione ordinaria" del rito latino, termini come "progredire" possono dare adito persino a ritenere che l'Antica Alleanza sia tutt'ora valida, creando non pochi problemi e confusione. Con il Concilio Vaticano II, soprattuttto grazie alla dichiarazione "Nostra Aetate" ("Nel nostro tempo") del 1965, la Chiesa ha intrapreso un cammino di riconcoliazione e dialogo religioso paritetico, sostenuto dalla riforma liturgica di Paolo VI e dalla prima visita di un Papa in una sinagoga nel 1986 a Roma, dove Giovanni Paolo II rivolgendosi alla comunità ebraica presente dichiarò: "Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo senso, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori". Così, se nell'arco di neanche trent'anni si è passato dal definirli perfidi per poi giungere a chiamarli affettuosamente fratelli maggiori, la volontà di Beneddetto XVI di liberalizzare l'antica messa tridentina segna un brusco stop dei risultati raggiunti e una regressione dei rapporti Chiesa-Ebraismo. E' necessario che la Chiesa chiarisca la questione in modo da riprendere il dialogo senza nessuna precondizione teologica, eliminando qualsiasi giustificazione che possa alimentare sentimenti antigiudaici.