domenica, agosto 03, 2014

Legare le mani a Israele? No

Il governo israeliano ha deciso in modo ufficioso il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza della gran parte delle forze militari che hanno causato un'insensata violenza con morti civili e distruzione. Niente tentativi di raggiungere una tregua temporanea, forse anche per non legittimare la parte avversa o forse più semplicemente perché, a sua discrezione, Israele inizia, interrompe o finisce un'operazione di guerra senza alcuna influenza da parte della Comunità internazionale.
Il perché di questo atteggiamento unilaterale? Nella parole di Moshe Dayan del 1955, allora capo di Stato Maggiore, la chiara spiegazione valida ancor oggi:
«Non abbiamo bisogno di un patto di sicurezza con gli Stati Uniti: un tale patto costituirà solo un ostacolo per noi. Non dovremo contrastare affatto alcun pericolo per i prossimi 8-10 anni derivante da un vantaggio della forza araba. Anche se riceveranno massicci aiuti dall'Occidente, dovremo mantenere la nostra superiorità militare grazie alla nostra infinitamente maggiore capacità di assimilare nuovi armamenti. Il patto di sicurezza ci legherebbe solo le mani negandoci la libertà d'azione di cui abbiamo bisogno nei prossimi anni. Le azioni di rappresaglia, che non potremmo eseguire se fossimo legati ad un patto di sicurezza, sono la nostra linfa vitale... rendono possibile per noi mantenere un alto livello di tensione tra la nostra popolazione e nell'esercito. Senza queste azioni avremmo smesso di essere un popolo combattivo e senza la disciplina di un popolo combattivo siamo perduti. Noi dobbiamo gridare che il Negev è in pericolo, in modo che i giovani ci vadano»
(Vivere con la spada: il terrorismo sacro di Israele, Rokach Livia)  
Di questa lucida descrizione Sharett a sua volta deduce quanto segue:
«Le conclusioni tratte dalle parole di Dayan sono chiare: questo Stato non ha obblighi internazionali, è senza problemi economici, la questione della pace è inesistente... Deve calcolare grettamente i suoi passi meschinamente e vivere affidandosi alla sua spada. Si deve vedere la spada come il principale, se non l'unico, strumento con il quale mantenere alto il suo coraggio e tenere la sua tensione morale. Verso questo fine si possono, no - si devono - inventare i pericoli, e per fare questo si deve adottare il metodo della provocazione - e - vendetta ... E soprattutto, speriamo in una nuova guerra con i paesi arabi, affinché possiamo finalmente liberarci dei nostri problemi e acquisire il nostro spazio»
(Vivere con la spada: il terrorismo sacro di Israele, Rokach Livia)