lunedì, ottobre 11, 2010

Per qualche mese di pausa in più... (dopo decenni di occupazione)

E' apparso sul Financial Times un articolo sulla capacità dell'Amministrazione americana di usare la leva finanziaria per incentivare a rimuovere "volontariamente" i coloni dai territori occupati che riallaccia le fila del mio intervento del 25 agosto 2008 ("Il carattere umanitario nel finanziamento agli insediamenti") e di un'indagine più recente del New York Times ("Tax-Exempt Fund Iad Settlements in West Bank"). Scritto dalla consigliera legale del presidente palestinese Mahmoud Abbas, Diana Buttu, in un contesto come quello attuale dove si dibatte di un'ulteriore moratoria sulla costruzione degli insediamenti israeliani, evidenzia di nuovo lo stretto intreccio fra diversi gruppi e associazioni americani con lo sviluppo delle colonie. E' veramente ridicolo parlare di "pausa" nell'attività di costruzione per 1, 2, 5 o 12 mesi dopo tanti anni di occupazione militare, e un incessante stravolgimento fisico e demografico: o dobbiamo iniziare seriamente a parlare di smantellamento, altrimenti si deve prendere coscienza della situazione sul terreno e aspettarsi una federazione. L'alternativa è una discriminazione permanente.

lunedì, giugno 28, 2010

"A tribal mentality"

Lo scorso novembre mi ero soffermato sul rapporto, a mio parere fondamentale, fra Ebrei e Goym (non ebrei) ed è proprio a questo riferimento che segnalo un'ottimo articolo apparso su Haaretz. "Per noi [ebrei], non c'è nessun altro eccetto noi" è la sconcertante constatazione del giornalista che rende insensibili gli animi alle sofferenze altrui. La stessa insensibilità dimostrata dai vari ministri israeliani all'indomani della guerra di Gaza dove hanno perso la vita più di 400 bambini palestinesi.

mercoledì, giugno 02, 2010

Quello che i governi non riescono/vogliono fare

Passano settimane, mesi e anni ma dobbiamo tornare a parlare delle sconsiderate azioni di Israele e sono ripetizioni che diversi soggetti tacceranno come antisemitismo ma che sono soltanto delle dure critiche e il vero antisemitismo è tutt'altro. E come tante altre volte bisogna fare la conta delle vittime, ad oggi 10 e tutte civili, come conseguenza dell'assalto in acque internazionale alla nave turca diretta a Gaza per alleviare con aiuti umanitari l'insensato blocco navale imposto dal 2007.
Questa fatto è anche una lezione a tutte quelle persone che con modo superficiale considerano la Striscia di Gaza non più "territorio occupato" a seguito del ritiro dell'esercito israeliano nel 2005: il mondo si sveglia e "scopre" che ancora a Gaza è tutta sigillata.
Dobbiamo considerare la situazione soprattutto sotto un'altro punto di vista: dopo 43 anni di occupazione militare viene messa nudo l'incapacità o la non volontà politica di risolvere il conflitto mediorientale da parte delle Comunità internazionale e la contestualità della prorompente forza della società civile, composta organizzazioni umanitari, onlus, movimenti e semplici cittadini che si oppongono sempre più con azioni concrete sfidando questa ingiustizia.
E Israele?! Certamente passerà le prossime settimane a difendersi politicamente nelle sedi opportune, a dichiarare che i suoi commandos sono stati attaccati per primi e che hanno agito difendendosi, etc...; ma fondamentalmente sfrutterà il tempo per far passare in secondo ordine la disputa delle colonie e continuare a costruire, rendendo il tutto più arduo da risolvere.

mercoledì, febbraio 24, 2010

La perversa via dell'Apartheid

E' da lungo tempo che vado sostenendo come lo stato d'Israele abbia intrapreso una via pericolosa che scuote le fondamenta democratiche della società stessa, che adesso sempre più si levano voci critiche contro uno status quo caratterizzato dalla politica del mangiar tempo abbinata al fatto compiuto.
Una di queste proviene da Henry Siegman, esperto del Medio Oriente e in modo particolare del conflitto arabo-israeliano, con un articolo sul Financial Times (For Israel, defiance comes at the cost of legitimacy) Partendo da un dato di fatto incontrovertibile, ossia che lo stato ebraico ha ormai superato la soglia limite per la soluzione politica di due stati (nessun governo ha la capacità e la volontà di sradicare più di mezzo milione di coloni), ne deduce come la conseguenza imminente sia l'apartheid nei confronti dei palestinesi, e non ha torto. Ecco il passo decisivo:
"The disappearance of the two-state solution is triggering a third transformation, which is turning Israel from a democracy into an apartheid state. The democracy Israel provides for its (mostly) Jewish citizens cannot hide its changed character. A democracy reserved for privileged citizens while all others are denied individual and national rights and kept behind checkpoints, barbed wire fences and separation walls manned by Israel’s military, is not democracy."
E lo sappiamo bene che fine hanno fatto regimi macchiati da una politica di discriminazione e razzismo.

giovedì, febbraio 04, 2010

«La reazione GIUSTA ai missili di Hamas lanciati da Gaza»: Berlusconi giustifica la guerra di Gaza

Una parola "GIUSTA", assente nel testo scritto ma che il presidente Berlusconi non ha mancato di pronunciare nell'intervento alla Knesset israeliana, qualifica pesantemente la presa di posizione nei confronti della guerra di Gaza dove le sole vittime, per la maggior parte civili, hanno superato le 1400 unità. Il primo ministro italiano certamente manca di audacia perché di fronte a una platea di parlamentari e leader israeliani non dire una sola parola sulla colonizzazione che da più di 40 anni non cessa di opprimere, non sbattere in faccia la complessità della realtà e pronunciare belle e altisonanti parole per compiacere all'ascoltatore è sintomo non di coraggio e amicizia, ma di opportunismo politico.
La realtà è nel Rapporto Goldstone e nei crimini commessi da ambo le parti, ma sempre con le doverose differenziazioni di ruolo e intensità (vedi post precedenti).
Ma anche se volessimo avvicinarci alle parole di Berlusconi e legittimare genericamente la reazione di Israele, il premier avrebbe potuto considerare quest'ultima come, ad esempio, "affrettata", "istintiva", "non pienamente valutata", persino addirittura "sproporzionata", come nei fatti lo è stata. Invece, neanche quel minimo tatto diplomatico ha impedito l'aggiunta deliberata dell'aggettivo "GIUSTA" senza i doverosi distinguo.
Le lodi gratuite fatte a Israele («il più grande esempio di democrazia e di libertà nel Medio Oriente», «il popolo ebraico è un "fratello maggiore"», «un avamposto della cultura europea e occidentale», «una vera democrazia, una società libera e orgogliosa della sua libertà, uno Stato libero e democratico in tutto eguale alle democrazie europee») sono alquanto sterili di fronte alla forza della realtà: la negazione coi fatti del diritto di autodeterminazione del popolo palestinese.
Cosa accadrà in futuro se lo stato ebraico riuscirà a ottenere la solidarietà delle maggiori potenze politiche mondiali, persino dopo un'insensata violenza come è accaduto a Gaza?