lunedì, novembre 13, 2006

I "fattori" che sono alla base del conflitto arabo-israeliano

Prendo spunto da una chiara dichiarazione di un funzionario del Nazioni Unite per riaffermare quali fattori (e uso un eufemismo), a mio parere, compongono le vere radici nel conflitto tra Israele e il popolo palestinese. Non mi soffermerò sui tanti crimini di guerra (impunti) compiuti dell'esercito israeliano questa estate a Gaza (più di 300 morti e per la maggior parte civili, mentre era in corso la guerra con il Libano), sulle tante incursioni, rastrellamenti, bombardamenti aerei e non (e poi alcuni dicono che la Striscia di Gaza non ha più lo status di territorio occupato...) che giornalmente terrorrizza e uccide in Palestina, sul recente massacro di Beith Hanoun, sul vergognoso veto al Consiglio di Sicurezza degli Stati Unti su una risoluzione solamente di condanna di Israele. La violenza chiama violenza e il terrorismo chiama il terrorismo. Ecco il passo:
"Israel's practice of confiscating Palestinian land, demolishing Palestinian homes, closure and the implantation of illegal settlements also continues throughout the West Bank and Jerusalem, including those in connection with the Separation Wall. I also have learned of the colonization activities in the Jordan Valley, in particular, including the active involvement of the World Zionist Organization and Jewish National Fund. Such dispossession and destruction across the Green Line, within the continuum of population transfer policies and practices, are factors that underlie the ongoing conflict. I urge the State of Israel to cease these practices and restitute confiscated lands in the interest of regional peace and security.
"

lunedì, ottobre 02, 2006

Colonization and occupation

I read your (Gareth Evans) article "Israel and the Quartet Must Seize the Moment" and I think this paper lacks of a fundamental word: COLONIZATION. This word implies the policy of EACH Israeli government from 1967, half milion of settlers in the occupied territories (including East Jerusalem), land grab and expulsion, basic rights denied. In essence, war crimes (according to the International Criminal Court). But above all, this facts on the ground are unabating (see the latest tenders issued).
Every conflict is made up of priority and I strenuously persuaded this is the biggest and hardest obstacle to settle the arab-israeli dispute. The International Community have to deal with the Israel’s colonization of Palestine. Do you agree with me?

Nazzareno Tomassini

giovedì, agosto 17, 2006

A regime of dispossession

Ecco come voglio intitolare un acuto articolo della brillante Amira Hass apparso su Haaretz.com, un regime di privazione, di spoliazione che nega con i fatti i più elementari diritti del popolo palestinese (vedi il post 'Israele e i diritti del popolo palestinese'). Una politica, un sistema civile e militare che va anche a detrimento di Israele stesso. Ricordo che la sicurezza non si ottiene con la forza, con le operazioni militari, con l'occupazione e l'incessante confisca illegittima di terre, con l'espulsione di civili, ma con il compromesso e l'accordo basato prima di tutto sul riconoscimento dei diritti di ciascuna parte coinvolta e sul diritto internazionale. Un articolo che, ovviamente, vi invito a leggere.

sabato, agosto 12, 2006

Dalla parte di Annan

Dopo estenuanti trattative al Consiglio di sicurezza da parte dei principali attori dell'arena internazionale, è stata adottata all'unanimità la risoluzione 1701 per porre fine immediatamente al grave conflitto in Libano e Israele e aprire verso un soluzione politica della crisi. Sui vari problemi che ha dovuto affrontare il Consiglio, quello mediorientale è certamente il più spinoso, ed è pienamente giustificabile che persino i termini, le sfumature, le ambiguità siano al centro di aspri dibattitti. In fondo, sono le parti direttamente in causa a rivedincare un'interpretazione piuttosto che un'altra più consona ai propri interessi nazionali. A questo riguardo, famosa è stata la Risoluzione 242 dove nel testo inglese sul ritiro israeliano è stato inserito volutamente da ("from") e non dai (from the) territori conquistati nelle guerra dei Sei giorni, benché nella versione francese e spagnola viene risolta ogni incertezza interpretativa.
Ma non voglio analizzare quest'ultima Risoluzione che nel complesso ritengo buona e soddisfacente, né tanto meno avventurarmi in speculazioni semantiche. Desidero porre in evidenza come l'esito positivo della riunione al Palazzzo di vetro sia arrivato troppo tardi, con una latitanza di un mese dall'inizio delle ostilità. Troppo, per un organo che ha "la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale" (vedi il mio post precedente 'Un crimine contro il proprio futuro, un crimine contro la pace in Medio oriente'). E dopo un mese di guerra le fredde cifre parlano chiaro: più di mille morti libanesi e 3600 feriti con un milione tra profughi interni e rifugiati, più di 100 morti israeliani, un paese (il Libano) distrutto e da ricostruire. Per questo sono soddisfatto che il Segretario Generale Kofi Annan abbia voluto richiamare, nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza, questo fondamentale punto. Ecco il passo della dichiarazione:
"I would be remiss if I did not tell you how profoundly disappointed I am that the Council did not reach this point much, much earlier. And I am convinced that my disappointment and sense of frustration are shared by hundreds of millions of people around the world. For weeks now, I and many others have been calling repeatedly for an immediate cessation of hostilities, for the sake of the civilian population on both sides who have suffered such terrible, unnecessary pain and loss. All members of this Council must be aware that its inability to act sooner has badly shaken the world's faith in its authority and integrity".

mercoledì, agosto 09, 2006

Terrorism under the guise of self-defence

Pubblico una lettera che ho inviato all'autore dell'articolo "Naked Aggression" presente nell'edizione on line del quotidiano 'The New York Sun'. L'identica lettera si può trovare anche nel Blog "Opinio Juris".
Distinguished Professor Kontorovich, I read your article and I have to tell you there are a lot of shortcomings. As you know, the Preamble of the UNSC 242 and other UN documents/international material, literally states "the inadmissibility of the acquisition of territory by war". It's a fundamental principle that rules the international order since the end of World War II and a peremptory norm of the customary international law, regardless of the kind of war (in self-defence or not). First of all, the International Community (except Israele and the United States, plus some ministate), the UN, the ICRC and the ICJ in the latest advisory opinion on the legality of the barrier/wall in the Occupied Territories, have reiterated several times that Israel has the status of occupiying power in the territories captured by Israel in the Six-Day War (such as the Sheba Farms). Accordingly, the Fourth Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War is entirely applicable to such territories, and not only some vague "humanitarian provisions" that claim Israel. Furthermore, several customary norms of the First Protocol are also applicable (artt.48-52). I agree with you that the Security Council has certified the Israel's withdraw from Lebanon in 2000, that the Sheba Farms belong to Syria, and that the Hezbollah claim the area as part of the Lebanese territory and exploits this pretext to continue the cross-border warfare. But, is there a state of pace or a state of war between Israel and Lebanon? Do you really believe that Israel destroyed Lebanon in self-defence? Do you think more than one thousand casualties, mostly children, is self-defence? Israel employed cluster bombs (see HRW report) and withe phosphorus munitions in populated areas of Lebanon. I briefly quote the statement of Mr. Jan Egeland, Under-Secretary for Humanitarian Affairs, before the Security Coucil on the humanitarian situation in the Middle East: "When there are clearly more dead children than actual combatants, the conduct of hostilities must be reviewed... If there are many more dead children in a conflict than armed men, there is something fundamentally wrong, not only with how the armed men behave and where they hide, but also with the way the response is being conducted" (28 July 2006). I consider these Israeli actions "war crimes" and "terrorism", just as the indiscriminate firing rockets into civilian areas in Israel by Hezbollah. But the actions of the warring parties are extremely different, and so the consequences and responsibilities of each other. Do you agree with me?
Nazzareno Tomassini Fano (PU) ITALY
N.B. Please visit my Blog "Divide et Impera" http://divideandrule.blogspot.com

lunedì, luglio 31, 2006

Coerenti fino in fondo...

Anche davanti a una strage di bambini, il Consiglio di Sicurezza quando tratta la crisi mediorientale non si smentisce. In una riunione d'emergenza, il Segretario generale Annan aveva chiesto con forza una "condanna senza mezzi termini" di Israele, mentre il Consiglio ha deplorato "la perdita di vite umane e l'uccisione di civili..." grazie all'intransigenza del baffuto ambasciatore americano Johnn Bolton . Si rammarica, si compassiona, si compiange ma niente di più, nessuna decisa condanna di chi ha commesso un crimine di guerra. Tanto, se si farà, sarà tutto coperto da un Trattato di pace.
Nessun lontanissimo accenno a un cessate-il-fuoco. Si continua, a discrezione di Israele.

domenica, luglio 30, 2006

Un crimine contro il proprio futuro, un crimine contro la pace in Medio oriente

Sono sconcertato e provo vergogna verso i paesi leaders della Comunità internazionale per non aver intimato da subito un chiaro alt alle operazioni militari in Libano e Israele/Territori occupati. La credibilità delle Nazioni Unite, e in primis del Consiglio di Sicurezza, è stata distrutta. Quest'ultimo è, e continua ad essere, impotente, come sempre grazie al veto americano, di fronte a una immane tragedia che ha provocato la morte già (per non parlare dei feriti, a migliaia) di quasi 700 libanesi e 60 israeliani, per la maggior parte civili (per non parlare dei palestinesi nei territori occupati che muoiono quotidianamente senza fare clamore). E' riuscito a fatica, per le obiezioni della delegazione statunitense di non esporre chiaramente la responsabilità dell'esercito israeliano nel "deliberato" e "coordinato" attacco contro una postazione ONU nel sud del Libano che ha causato la morte di quattro osservatori, a partorire un comunicato dove si esprime che "the Security Council is deeply shocked and distressed by the firing by the Israeli Defense Forces on a United Nations Observer post in southern Lebanon on 25 July 2006, which caused the death of four United Nations military observers". Mentre si bombardava e si moriva, il principale organo delle Nazioni Unite che detiene "la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale... al fine di assicurare un'azione pronta ed efficace" (art. 24 Carta ONU), non aveva altro che dibattere una risoluzione sulla Corea del Nord per i suoi test balistici. Certamente, se la Comunità internazionale non è unanime nel richiedere il cessate il fuoco senza condizioni, a qualcuno conviene. Human Rights Watch ha denunciato l'uso indiscriminato delle micidiali bombe a grappolo (cluster bombs) da parte dell'aviazione israeliana su aree urbane, così come le bombe al fosforo bianco. I produttori americani di armi che riforniscono Israele, via Londra, sorridono e gioiscono alle tonnellate di bombe che vengono riversate in Libano svuotando gli arsenali, rassicurati dalle dichiarazioni pubbliche del Presidente Bush e del Segretario di Stato Rice che sottolineano una riluttanza a fermare la forza militare di Tel Aviv. Solo una semplice moderazione (restraint) delle operazioni che, in sostanza, tradotta nel gergo militare equivale a un semaforo verde. Tralasciando le disquisizioni e le speculazioni politiche sulla ricerca delle cause del precipitarsi di questa crisi attuale in Medio oriente, cito alcuni passi della dichiarazione pronunciata davanti al Consiglio di sicurezza dell'ONU di Jan Egeland, alto funzionario dell'ONU e capo delle questioni umanitarie di ritorno dalle zone disastrate che ha toccato con mano gli effetti di una guerra brutale e insensata:

"The Middle East is at a crossroads. My fear is that more violence, more missiles, more terror, and more destruction creates more anger, more hatred, and more disillusioned youths, and ultimately leads to less security throughout the region. Civilians on all sides are the losers of this endless cycle of violence...I urged the Foreign Minister and the Defence Minister of Israel in my meetings to review the conduct of the air strikes and bombardments to avoid excessive use of force that inflicts disproportionate suffering on the civilian population. When there are clearly more dead children than actual combatants, the conduct of hostilities must be reviewed. At the same time, I repeatedly and publicly appealed from within Lebanon that the armed men of Hizbollah must stop their deplorable tactic of hiding ammunition, arms, or combatants among civilians. Using civilian neighborhoods as human camouflage is abhorrent and in violation of international humanitarian law... Civilians must be protected at any cost. If there are many more dead children in a conflict than armed men, there is something fundamentally wrong, not only with how the armed men behave and where they hide, but also with the way the response is being conducted".

Tutto questo si chiama "legittima difesa" oppure "terrorismo" e "crimini di guerra"?

martedì, giugno 06, 2006

L'ipocrisia e la guerra

Riporto la lettera che ho scritto a Massimo D'Alema, Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri:
Signor Massimo D'Alema, rimango stupito dalle sue affermazioni a seguito della tragica morte di un militare italiano a Nassiriya e del ferimento di altri quattro. Io mi chiedo, come fa anche Lei, uomo di sinistra, a definire l'impegno militare italiano in Iraq come "missione di pace"? Ho votato alle ultime elezione per Lei, per la sua parte politica, con la convinzione e la speranza che avreste nel più breve tempo possibile ritirato i nostri soldati da una sporca (uso un eufemismo) guerra.
Una guerra sbagliata, illegale, contro il diritto internazionale e l'ONU, ingiustificabile e basata sui falsi pretesti come la ricerca delle armi di distruzione di massa. Si è dimostrato nei fatti, invece, uno stillicidio di decine di morti che quotidianamente continua a mietere civili, militari, insorti, guerriglieri, terroristi di ogni parte. I fatti sono gli abusi sui progionieri ad Abu Ghraib, gli eccidi dei soldati americani contro gente inerme sempre in nome dei " (presunti) terroristi", il genocidio del popolo iracheno che continua da quattro anni e che mostra la vergogna del "progredito" Occidente. E' la nostra una missione di pace, a scopo umanitario? Mentre c'è una guerra, sinonimo di "distruzione", si possono intraprendere tranquillamente opere di ricostruzione materiale e sociale come ospedali, scuole, ponti, strade, o è prioritario il compito di scortare militari di altri stati, arrestare presunti criminali o salvare la pelle? La guerra è il peggior male e le ferite, l'odio fra popolo e popolo sono difficili da rimarginare e richiedono molto tempo. Con l'istituzione dell'ONU nel 1945, la guerra viene bandita come strumento per risolvere le controversie internazionali (art.2 par.4), eccetto quella intrapresa per legittima difesa (art. 51) e decisa dal Consiglio di Sicurezza sotto il capitolo VII. Noi tutti dobbiamo scrupolosamente vagliare tutte le (false) giustificazioni che fanno rientrare in queste due "eccezioni" i motivi per nuovi conflitti e il loro consenso. L'eccezione (la guerra) e la norma (la pace) non devono invertirsi come la propaganda di una guerra universale al terrorismo tenta di fare. Rimango fortemente deluso dalle sue parole Signor D'Alema, ma può darmi le risposte a questi interrogativi? Distinti saluti.

domenica, marzo 05, 2006

Non c'è pace senza giustizia e giustizia senza responsabilità

Caro Mario, facendo seguito al suo commento, Le vorrei dire che la "legge del più forte" è oggi, per nostra fortuna, quasi scomparsa anche se permangono forti tentazioni politiche da parte delle maggiori potenze mondali, USA in primis. Nel xx secolo l'umanità ha sofferto due Guerre mondiali, di cui la seconda ha imposto un altissimo numero di morti, soprattutto fra la gente comune. Come conseguenza di ciò, la Comunità internazionale, con l'istituzione dell'ONU, ha finalmente bandito la guerra fra gli stati (JUS AD BELLUM, eccetto due casi: quella intrapresa come legittima difesa e quella decisa dal Consiglio di sicurezza), sviluppato una serie di regole di diritto internazionale umanitartio con il fine di limitare al massimo grado gli effetti delle guerra una volta che questa fosse iniziata (JUS IN BELLO), creato le basi e le condizioni per la Decolonizzazone. Nel 1949 furono firmate e successivamente adottate dalla stragrande maggioranza degli stati, le quattro Convenzioni di Ginevra (e i Protocolli del 1977). Memori delle pratiche naziste (la Storia insegna!), nella quarta, relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, l'articolo 49 par. 6 stabilisce testualmente che "la Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua popolazione civile nel territorio da essa occupato". E' chiaro il collegamento con la politica di colonizzaizone israeliana nei Territori palestinesi. In aggiunta, la Comunità internazionale si è dotata di altri strumenti per la repressione di crimini internazionali (le Corti per la ex-Jugoslavia e il Ruanda, sebbene ex post facto), significativamente dopo la fine della Guerra fredda. Soprattutto, la recente Corte Penale Internazionale permanente è stata creata per combattere l'impunità e come forma di deterrenza verso future violazioni del diritto internazionale (genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e, una volta definito, crimine d'aggressione). Come vede Mario, tutto questo lavoro è stato fatto proprio per svuotare il principio (e la relativa pratica) della "legge del più forte" e rafforzare la legalità in ambito internazionale. L'indirizzo è più che giusto anche se rimane molto da fare. Non c'è pace senza giustizia e giustizia senza responsabilità. L'atteggiamento del diritto internazionale contemporaneo cerca proprio di porre la responsabilità di stati e individui davanti alle violazioni e crimini passati e, di consegueza, evitarne di futuri.

mercoledì, marzo 01, 2006

Israele e i diritti del popolo palestinese

In un momento particolarmente importante per gli sviluppi del conflitto arabo-israeliano, in cui tutti i più importanti interlocutori internazionali coinvolti nel processo diplomatico (Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite) esercitano, a vario modo e tramite le tradizionali leve di influenza, forti pressioni sul movimento di HAMAS affinché si impegni a riconoscere lo stato d'Israele, a rispettare tutti gli accordi stipulati precedentemente con esso e rinunci alla violenza, vorrei fare alcune considerazioni su come e se lo stato ebraico riconosca i diritti fondamentali dei palestinesi. Dal 1948 fino ad oggi, uno stato palestinese non esiste e i diritti del suo popolo sono continuamente violati e negati. Andando a ritroso nel tempo fino ai primi anni ‘20, la Società delle Nazioni e, dal 1945, le Nazioni Unite hanno avuto nella loro agenda internazionale la questione ebraica e palestinese, e quest’ultima è ancora all’ordine del giorno del Palazzo di Vetro. Diverse guerre si sono succedute con le inevitabili conseguenze di morte, distruzione, massacri e terrorismo da entrambe le parti. Nel giugno del 1967 l’esercito israeliano riuscì a “conquistare” in soli sei giorni grandi territori (Gerusalemme Est, West Bank, la striscia di Gaza, le alture del Golan e la penisola di Suez), ma la famosa Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, asse portante in tutti i futuri negoziati, ribadì il bando del verbo e dichiarò nel preambolo “l’inammissibilità dell’acquisizione del territorio con la guerra”, principio cardine del diritto internazionale contemporaneo, a prescindere dalla natura difensiva o meno della guerra. Da allora Israele è la potenza occupante e ancor oggi detiene lo stesso status verso la striscia di Gaza (anche dopo il recente “disimpegno” militare poiché mantiene il controllo sullo spazio aereo, sul mare e sui confini), la West Bank e il Golan. La totale rottura diplomatica "diretta" degli stati arabi nei confronti di Israele, affermata nella dichiarazione di Khartoum della Lega araba nel settembre 1967 (“no peace with Israel, no recognition with Israel, no negotiations with it”), la riluttanza israeliana a riconoscere un’entità politica nei territori palestinesi così come l’indifferenza e il disprezzo per le risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza ONU (cito soltanto la n° 446 e 465, per non parlare delle innumerevoli risoluzioni dell’Assemblea Generale), hanno portato l’impasse politica fino alla svolta del 1993 con gli Accordi di Oslo e il riconoscimento reciproco tra lo stato ebraico e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). E in tutto questo tempo cosa è successo nei Territori palestinesi? Dal 1993, data d’inizio del famoso e tanto decantato (e abusato) “processo di pace”, fino allo scoppio della terza intifada nel settembre del 2000, a quali cambiamenti abbiamo assistito? La risposta, o meglio, le risposte sono riposte nei numeri, difficili da interpretare: dall’occupazione nel 1967 e ancor più dal 1977 con la vittoria elettorale del Likud, i coloni israeliani sono ad oggi quasi mezzo milione (West Bank e Gerusalemme Est). Ora dobbiamo chiederci il significato di questo numero. Esso riflette una politica discriminatoria nei confronti della popolazione indigena, l’incessante confisca di terre, lo sfruttamento delle risorse naturali ad esclusivo uso dei coloni. In sostanza, si tratta della negazione del diritto di autodeterminazione espresso nella Carta ONU e dei diritti umani connessi. Una situazione che mette in serio pericolo, come molti studiosi sostengono, quella “visione” del 2002 del presidente Bush di una soluzione di compromesso che vede “two States, Israel and Palesatine, live side by side within secure and recognized borders” (Ris. 1397 – Consiglio di Sicurezza). Ogni governo dal 1967 in poi, con diversa intensità, ha promosso e incentivato la politica degli insediamenti di civili israeliani nei Territori palestinesi violando il diritto internazionale, e l’architetto principale è stato senza ombra di dubbio Ariel Sharon: il suo lungimirante scopo è sempre stato di incorporare maggior terra con la minor presenza di arabi e impedire la nascita di uno stato palestinese su un significativo territorio contiguo. In altre parole, si è avuto, e tuttora si ha, un costante mutamento dei “confini” israeliani rispetto alle frontiere stabilite negli accordi di armistizio del 1949. Persino Kissinger ha riconosciuto questo dato di fatto. A mio parere, la vittoria di HAMAS alle recenti elezioni palestinesi è l’elementare risultato di questa politica del fatto compiuto e degli errori israeliani passati, ma anche della latitanza della Comunità internazionale nel monitorare attentamente le azioni di Israele nei Territori e fare con forza pressioni su di essa. Un dato per riflettere: dal 1993 al 2000 la popolazione dei coloni nelle West Bank e nella Striscia di Gaza è quasi raddoppiata, proprio nell’intervallo di tempo che avrebbe dovuto portare ad un accordo definitivo di pace e risolvere le questioni cruciali (insediamenti, diritto di ritorno dei profughi e rifugiati palestinesi, sovranità di Gerusalemme, confini)! Pienamente giustificabili da parte dell’establishment di Gerusalemme sono le forti preoccupazioni nei confronti di un HAMAS che si sta avviando a guidare i palestinesi, data l’eredità di terrorismo che ha e una Carta che afferma di “strives to raise the banner of Allah over every inch of Palestine” e che “Israel will exist and will continue to exist until Islam will obliterate it, just as it obliterated others before it”. Quello che mi preme evidenziare è che Israele riconosca con i fatti i diritti dei palestinesi, oltre al riconoscimento formale dell'ANP. Gli oneri e le responsabilità poggiano su entrambe le parti in causa per giungere al compromesso e alla pace ma, credo, in diverso grado a seconda se si è occupante o occupato. Non si può continuamente minacciare o punire quest’ultimo, mentre si è indulgente con l’occupante o addirittura si mostra inazione o silenzio verso una colonizzazione che negli ultimi decenni continua a trasfomare il territorio palestinese.