martedì, settembre 30, 2008

"Not intervening for a weak child who needs help against a strong child is intervening for the strong child"

Parole pungenti dello storico israeliano Zeev Sternhell oggetto di un fallito attentato da parte dell'estremismo religioso per le sue dure posizioni critiche verso l'occupazione israeliana. Prendono spunto dalla situazione di quasi anarchia nei territori occupati, sopratuttto nella West Bank, dove il governo è negligente o corresponsabile nel non garantire la sicurezza della parte più debole della popolazione: i palestinesi. 
Ma vorrei allargare questa opportuna metafora a un principio generale: non intervenire in più di quarant'anni contro un'occupazione militare e l'incessante confisca di terra che degenera la stessa società israeliana significa intervenire a favore della parte più forte.     

lunedì, agosto 25, 2008

Il carattere umanitario nel finanziamento agli insediamenti

Ma cosa c'e' di più politico di quello di incentivare gli insediamenti israeliani nei territori occupati palestinesi? L'Amminstrazione america continua incessantemente a dichiarare che la colonizzazione "minaccia" (vedi il post precedetente) il processo di pace e, allo stesso tempo, ci sono agevolazioni fiscali per tutti quei gruppi che finanziano tramite donazioni la realtà completamente opposta! E la giusticazione questa volta dove sta...? Nell'aspetto "umanitario" , "religioso", "caritatevole" di tale gesto, lodevole nel favorire economicamente gli insediamenti senza prendere in considerazione le conseguenze politiche e militari. Ridicolo. Penso che i territori occupati da Israele nel giugno 1967 siano punti fondamentali da districare e abbiano natura squisitamente politica proprio perché sono al centro dei negoziati fra le parti. Ritengo che la composizione demografica e la sua alterazione continua da parte di Israele sia assai politica se impedisce la nascita dello stato palestinese. Persino in altri tempi (siamo nel lontano 1979-80) il Consiglio di sicurezza ha affermato con diverse risoluzioni (446-452-465-471) che queste pratiche "non hanno validità legale". La Corte di giustizia internazionale ha stabilito nel parere consultivo (non vincolante ma altamente autoritativo) sulle conseguenze legali del muro israeliano che:
«the Israeli settlements in the Occupied Palestinian Territory (including East Jerusalem) have been established in breach of international law» [para. 120]
e sopratutto:
«All States are under an obligation not to recognize the illegal situation resulting from the construction of the wall and not to render aid or assistance in maintaining the situation created by such construction; all States parties to the Fourth Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War of 12 August 1949 have in addition the obligation, while respecting the United Nations Charter and international law, to ensure compliance by Israel with international humanitarian law as embodied in that Convention» [para. 163]
Nel leggere l'articolo "U.S. tax breaks help Jewish settlers in West Bank" mi sono ancora una volta e con amarezza mista a ilarità ironica come, dopo più di quarant'anni, non c'e' una volontà politica all'orizzonte che risolva il conflitto mediorientale. Riuscirà la pace dei leaders a stravolgere la politica dei fatti? A quale prezzo? O sarà troppo tardi?

domenica, agosto 10, 2008

«The Israeli hunger for land »

Quando il governo israeliano indice una gara d'appalto (tender) per la costruzione di alloggi nei territori accupati le reazioni internazionali sono sempre le medesime, condite di quell'eufemismo che riesce a offuscare la realtà: gli insediamenti "minacciano il processo di pace"(quale? quello dei leader politici mentre sul terrono i fatti sono estremamente diversi?), "mettono in pericolo i negoziati"; "creano un'atmosfera di sfiducia fra le parti", ecc. In altre parole, sono tutte dichiarazioni pubbliche che contengono verbi in cui in un futuro più o meno lontano la pace potrebbe diventare un miraggio. Tuttavia, si vuole trasmettere un messaggio che ancora è fattibile un'onesta pace.
A mio avviso, occorre nuovamente guardare la realtà e constatare come tutte queste affermazioni abbiano ormai superato da tempo il grado di anacronismo. Una pace concreta e possibile è effettivamente già un miraggio proprio a causa di questo molle atteggiamento della Comunità internazionale nei confronti dell'incessante colonizzazione israeliana, quella condotta di sterili parole che ha permesso a più di mezzo milione di coloni (incluso Gerusalemme est) di stravolgere politicamente e demograficamente il panorama geopolitico dei territori occupati.
In questo contesto, si inserisce in modo chiaro ed efficace questo articolo del grande storico israeliano Zeev Sternhell "Zionism's dying between Hebron and Yitzhar", in cui si sottolinea come Israele per intraprendere una pace di compromesso debba affrontare una spinosa problematica interna, uno Stato dentro uno Stato: i coloni. In un'altro articolo del maggio 1998, "Zionism’s secular revolution", mette in luce come la ragione profonda del "desiderio ardente" per la terra biblica risieda proprio nel nazionalismo ebraico, tralasciando o mettendo in second'ordine gli eventi occasionali, le circostanze e le oppotunità politiche e militari (ad es: la guerra dei Sei giorni) che hanno prodotto l'occupazione. Ecco un passo significativo:
«Jewish nationalism is scarcely any different from the nationalism of Central and Eastern Europe: ethnocentric, religious and cultural, immersed in the cult of an heroic past. It has no difficulty in refusing to others the same elementary rights which, in all tranquillity, it demands for itself. Thus Zionism, confident of its right to reclaim all the historic land of our kings and prophets, was unable to conceive that there could be any other legitimacy in the land of the Bible.
So we must ascribe the beginnings of our settlement of Arab lands to the very nature of our nationalism, not to the heady victories of war or the passing extinction of some humanist value. If we had just wanted to keep the territories as bargaining counters for peace, the day the Arabs were prepared to negotiate, why not have kept them under the rules of strict military occupation together with absolute respect for international law?»

martedì, agosto 05, 2008

Il consenso politico si costruisce sulle percezioni

Il governo ha messo in atto il piano di sicurezza inviando personale militare in gran parte delle grandi città italiane, provvedimento che concordo poiché è molto più utile mettere uomini e donne a controllare e pattugliare punti sensibili che farli rimanere in caserma. Un'utilità che solo la mera presenza eleva sia la deterrenza contro possibili infrazioni sia la percezione dei cittadini verso le istituzioni.
Un tema, quello della sicurezza, che è stato al centro delle recente campagna elettorale e abilmente cavalcato dai mass-media dove la consueta carrellata di morti, condita di lugubri sigle e interviste shock delle vittime, ha creato a mio parere un senso di insicurezza generale. Poco importa che diversi rapporti affermino come, ad esempio, Roma si collochi ai primi posti come capitale con meno reati: quello che conta è la percezione della realtà, che può a volte essere stravolta, e come crearla per i politici.
Oltre al problema sicurezza, vorrei sottolineare un'aspetto poco trattato ma puntualmente sottolineato dal Financial Times ("Italy gets tough on crime while neglecting corruption"): la vitalità della corruzione nel nostro paese. Il poco invidiabile dato compilato dall'organizzazione Trasparency International si attesta al 41° posto, dietro a paesi come il Botswana (38°) e il Qatar (32°), e a tutti i paesi dell'Unione europea prima dell'allargamento del 2004, eccetto la Grecia (56°).
clipped from en.wikipedia.org
Overview of the index of perception of corruption, 2007
Overview of the index of perception of corruption, 2007
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mercoledì, luglio 23, 2008

Quando le vere vittime sono i bambini...

Pubblico la risposta della Professoressa Eve Spangler al mio intervento sull'articolo «The Deaths of Children»:
"Many thanks for your kind words. I agree with you entirely... it's not just the occupation of 1967, but the Nakba of 1948 that is at the root of the present conflict. How sad that we still must be in struggle about this. Eve"
Qui di seguito il mio iniziale commento:
"Distinguished Professor, I read your article («The Deaths of Children») and I have to commend for revealing the truth in the occupied Palestinian territories. Of course, the military occupation for over forthy years is the main obstacle to reach the peace, and as you said, this context supported and kept the gross breach of the human rights for the parties in conflict until now. But there is another fact on the ground to tackle by the entire International community: the expulsion of more 700.000 palestinians without return, without compensation, after only three years since the end of World War II in which ther european jews undergone the Nazis crimes, after the Nuremberg Trials estabilished the crimes of war and the crimes against humanity." Best regards. Nazzareno Tomassini"
In conclusione, riporto una parte della dichiarazione del funzonario ONU Jan Egeland di fronte alla tragedia della guerra Israele-Libano dell'estate 2006 (vedi il post del 30 luglio), parole crude che non necessitano di commento:
"If there are many more dead children in a conflict than armed men, there is something fundamentally wrong, not only with how the armed men behave and where they hide, but also with the way the response is being conducted"

sabato, luglio 12, 2008

Abusi sessuali e Chiesa cattolica: solo incompatibilità?

Papa Benedetto XVI durante il viaggio per l'Australia dove presenzierà la Giornanta Mondiale della Gioventù, si è espresso in questo modo sul tema della pedofilia e Chiesa cattolica: «Essere prete e' incompatibile con gli abusi sessuali, con questo comportamento che contraddice la santità». Quando ho letto questa breve notizia su vari giornale on line ho immediatamente pensato che implicitamente qualche status o condizione giustificasse questa violenza, ad esempio un soldato in guerra. In poche parole, quello che è incompatibile per alcuni può o potrebbe essere compatibile per altri in diverse circostanze. Quella di Ratzinger è certamente un'uscita non felice e superficiale, soprattutto in un momento dove i fatti di cronaca che trattano questa fattispecie aumentano. Sono altrattanto sicuro della buona fede e della bontà delle parole del Papa, ma su questo terreno penso occorra essere più che chiari: gli abusi e la violenza sessuale devono essere strenuamente e con forza condannati, senza alcuna condizione! Sono crimini che, sencondo il Ponteficie giustamente contraddicono la santità, ma vengono perpetrati concretamente sulla pelle di bambine/i, ragazze/i, donne e uomini. Occupiamoci delle vittime, la santità verrà da se.

"The battle for the territories"

Sadly, things on the ground going on unabated and peace seems faraway. It's the creeping war against the Palestinian people.

lunedì, giugno 30, 2008

Israele nei pensieri degli americani

Interessante questo breve articolo di Walter Russel Mead pubblicato su Foreign Affairs dove viene riassunta l'idea di Israele agli occhi degli americani, ripercorrendo storicamente i parallelismi dei due paesi per spiegare come si sia arrivati alla special relationship di oggi.
L'autore, nella sua conclusione, afferma che «in the future, as in the past, U.S. policy toward the Middle East will, for better or worse, continue to be shaped primarily by the will of the American majority, not the machinations of any minority, however wealthy or engaged in the political process some of its members may be», esito che si scontra con chi sostiene che la politica mediorientale statunitense sia pesantemente influenzata dalla lobby ebraica (Cfr. il recente libro di John Mearsheimer e Stephen Walt "La Israel Lobby e la politica estera americana").

martedì, maggio 13, 2008

La visione accademica del "processo di pace" e la dura realtà dei fatti

Molto interessante questo articolo "Forget the two-state solution" pubblicato dal Los Angeles Times, dove l'autore giustamente sottolinea come siano divergenti le proposte avanzate dai maggiori commentatori e politici per una soluzione al conflitto arabo-israeliano con la politica del fait accompli.

mercoledì, marzo 12, 2008

Terra, terra, e ancora terra

Dal 27 febbraio al 3 marzo nella Striscia di Gaza la violenza ha raggiunto dei limiti spaventosi. Nell'infinita lotta tra israeliani e palestinesi, mettere un punto fermo nelle continue azioni terroristiche e rappresaglie è impossibile, ma soprattutto sarebbe fuorviante considerare questo stato di cose come criterio per dare giudizi o critiche, ma anche per cercare di comprendere un contesto che non può essere lasciato alla superficialità. Tuttavia, è giocoforza ritenere l'uccisione di un israeliano da parte di un missile Kassam sparato indiscriminatamente dalla milizia palestinese sulla città di Sderot come la scintilla che ha scatenato la dura risposta dell'esercito israeliano. In questi pochi giorni i massacri e le distruzioni hanno stilato questi impietosi numeri: da parte paestinese, 107 vittime (27 bambini, 5 donne e 20 uomini), di cui quasi la metà (52) civili + 250 feriti; da parte israeliana, 1 vittima civile e 2 militari più 25 feriti (i dati sono presi dall'Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, OCHA). La scontata reazione palestinese si è avuta con l'uccisione di otto giovani studenti in un seminario rabbinico a Gerusalemme, un'attenato simbolico proprio contro l'ideologia che alimenta l'insediamento e l'occupazione del Territori palestinesi. L'edizione on line del tabloid israeliano Yedioth Ahronoth ha pubblicato il 9 marzo un articolo del rabbino Yoel Ben-Nun, "The power of land", dove viene valutata la situazione alla luce dell'ultima azione terroristica e prospettata una soluzione sul da farsi. Ecco le parole chiave:
"Rabbi Zvi Yehuda Kook [1891-1982, ispiratore e leader del movimento dei coloni] did not educate his students to be zealous or vengeful. He always said we had no war with “Ahmad and Mustafa,” but rather, with an enemy that seeks to destroy our independence and send us back to the Diaspora. He believed and insisted that our control over the entire Land [Eretz Yisrael] if Israel is the most moral choice under the current conditions and will ultimately bring peace. Therefore, the proper revenge for the murder at the yeshiva is under no circumstances more bloodshed. This would only serve the evil members of Hamas, who are drenched in blood. The proper revenge is through land, the land of Israel. This is the only thing they [gli arabi] understand"
Sostanzialmente, l'autore consiglia allo stato d'Israele di intensificare la colonizzazione dei territori occupati mettendo in patrica il comandamento delineato nel libro biblico dei Numeri (33:53):
50"Il Signore disse a Mosè nelle steppe di Moab presso il Giordano di Gerico: 51 "Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan, 52 caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture. 53 Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà. 54 Dividerete il paese a sorte secondo le vostre famiglie. A quelle che sono più numerose darete una porzione maggiore e a quelle che sono meno numerose darete una porzione minore. Ognuno avrà quello che gli sarà toccato in sorte; farete la divisione secondo le tribù dei vostri padri. 55 Ma se non cacciate dinanzi a voi gli abitanti del paese, quelli di loro che vi avrete lasciati saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi e vi faranno tribolare nel paese che abiterete. 56 Allora io tratterò voi come mi ero proposto di trattare loro"."
Quindi, non più vendetta di sangue o almeno non primariamente ma l'obiettivo fondamentale rimane sempre avere il controllo della terra di Giudea e Samaria. U
n circolo vizioso in cui il peccato originale è l'occupazione.

lunedì, febbraio 18, 2008

Un'indipendenza azzardata

Una mia lettera all'Economist dell'ottobre 2005 sulla questione del Kosovo resta ancora attuale per comprendere i rischi e le problematiche future che ha innescato la nascita del nuovo Stato:
"According to public international law, there is no right to unilateral secession from a sovereign state. From time immemorial, the international community has strongly protect the territorial integrity and the inviolability of the borders, other than by mutual agreement. In one word: the stability of the international order. Although the principle (and the right later, with the relative obbligation upon the colonial countries) of self-determination of peoples was codified in the UN Charter, the application was limited to the context of decolonization within the inherited national border (uti possidetis iuris, the principle of respect for frontiers existing at the moment of independence). The rigth to self-determination amount to a 'special' independence, and the beneficiaries are peoples "geographically separate and distinct ethnically and/or culturally from the colonial power".
The end of the Cold War changed state practice with regard to recognition states created by the "dissolution" (not secession from...) of the Soviet Union and Yugoslavia, two federal states. The (constitutive) recognition by the European Community was more a matter of political discretion subject to several conditions than the traditional declaratory type based on the effective control of the territory. Kosovo ("The wheels grind on", October 8th) was sub-federal province of the SFRY and now is formally a part of Serbia and has the right of self-determination only internally. In other words: a "self-governing" entity enjoy of all rights upon minorities (as opposed to "peoples") within serbia sovereignty, the constituent part of a federal state. Granting Kosovo independence tout court, it will be a dangerous precedent/opportunity for the international community/secessionist movements in the time to come."

domenica, febbraio 10, 2008

La conversione degli ebrei nella liturgia cattolica

Avevo già sottolineato nel post del 14 luglio 2007 l'inconciliabilità delle due preghiere tridentine e post-tridentine pronunciate nel solenne Venerdì Santo a favore degli ebrei, e la necessità di un intervento chiarificatore da parte della Santa Sede. Papa Benedetto XVI ha autorizzato modifiche sostanziali alla preghiera di rito tridentino che adesso suona così:
"Preghiamo anche per gli ebrei, affinché Iddio Signore nostro illumini i loro cuori e riconoscano Gesù Cristo come Salvatore di tutti gli uomini. Preghiamo. Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini siano salvati e arrivino a riconoscere la verita', concedi benevole che tutto Israele sia salvato all'ingresso della pienezza dei popoli nella tua Chiesa". (Trad. latina: "Oremus et pro Iudaeis. Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum. Oremus. Flectamus genua. Levate. Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen."). (Trad. inglese: "Let us also pray for the Jews: that God our Lord might enlighten their hearts, so that they might know Jesus Christ as the Savior of all mankind. Let us pray. Let us bend our knees (kneel). Please rise. Almighty and eternal God, whose desire it is that all men might be saved and come to the knowledge of truth, grant in your mercy that as the fullness of mankind enters into your Church, all Israel may be saved, through Christ our Lord. Amen.").
Sono state eliminate parole come "cecità", "tenebre" e frasi come "tolga il velo dai loro cuori", tutte espressioni richiamate dalla letteratura paolina (2 Corinzi 3:13-16; 4:3-6;), ma rimane sempre l'intestazione della preghiera "per la conversione gli ebrei" e, più in generale, il suo significato proiettato verso una futura conversione degli ebrei, questione fortemente criticata dalle varie comunità ebraiche della diaspora, sopratuttto da quella americana, per la volontà di eliminare l'identità ebraica. A mio avviso, rimuovere questi termini offensivi va nella giusta direzione ma si deve sottolineare come le comunità ebraiche non possano e debbano intromettersi nella formulazione di una preghiera di altra fede. Le modifche non la rendono più offensiva e non giustificano ancora critiche. Il contesto della preghiera universale del Venerdì Santo per tutti gli uomini risalente alla prima Cristianità (cfr. 1 Timoteo 2:1-7) evidenzia la centralità di Gesù e della Croce per la salvezza dell'intera umanità, ebrei inclusi. Proprio la vocazione universale della Chiesa cattolica
(a differenza dell'ebraismo) e il suo dogma principale suggeriscono come non ci sia alternativa al corpo di Gesù Cristo per la salvezza. In questo quadro penso sia più che legittimo pregare per gli ebrei e invocare la loro conversione proprio durante la celebrazione del Venerdì Santo dove Gesù è morto per tutti. Sarà proprio San Paolo, l'Apostolo dei Gentili, che nella lettera ai Romani (9:1-5) vedrà nell'incredulità del popolo ebraico la colpa principale e l'ostacolo verso una conversione più intima che subìta esternamente:
"Perché l'incredulità dei Giudei
Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dá testimonianza nello Spirito Santo:
ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen."