domenica, dicembre 08, 2013

Istruzione, vero motore di libertà della persona

«E' quello che facciamo di ciò che abbiamo, non ciò che ci viene dato, che distingue una persona da un'altra» 
          (Nelson MandelaLungo cammino verso la libertà)

Ho scoperto Maria Montessori: «se si è imparato ad imparare allora si è fatti per imparare»

Per caso ho trovato questo personaggio italiano troppo poco valutato internamente ma giustamente apprezzato dagli altri paesi: Maria Montessori.
«La caratteristica peculiare dell'Università consiste nell'insegnare a studiare. La laurea è solo la prova che si sa studiare, che si sa acquisire formazione da se stessi e che ci si è trovati bene nei percorsi della ricerca scientifica... Se si è imparato ad imparare allora si è fatti per imparare. Una persona con una laurea è dunque una persona che sa meglio destreggiarsi nell'oceano della formazione. Ha ricevuto un orientamento»
(La scoperta del bambino)   
Nella mia fortunata infanzia ho avuto la possibilità di essere guidato alle elementari da un bravo maestro che, consapevolmente o meno, ha utilizzato il "Metodo Montessori", vale a dire è riuscito a costruire una cornice fondante entro la quale ciascun bambino poteva iniziare a esprimere già in così tenera età la propria personalità diventando un SOGGETTO. Non nozioni e disciplina ma una libertà che assecondi la curiosità in modo da condurre per altre strade alla disciplina, tanto agognata da educatori e genitori, perché come ha scritto la Montessori «l'adulto si è fatto egocentrico rispetto al bambino: non egoista ma egocentrico. Per cui considera tutto quanto riguarda il bambino psichico, dai riferimenti verso se stesso, riuscendo così ad una incomprensione sempre più profonda. E' questo punto di vista che gli fa considerare il bambino come un essere vuoto, che l'adulto deve riempire col suo proprio sforzo, come un essere inerte e incapace pel quale egli deve fare tutto; come un essere senza guida interiore, per cui l'adulto deve a punto a punto guidarlo dall'esterno. Infine l'adulto è come il creatore del bambino, e considera il bene e il male delle azioni del bambino, dal punto di vista dei rapporti con lui. Egli e infallibile, egli è il bene su cui il bambino deve modellarsi, tutto quanto nel bambino si allontana dai caratteri dell'adulto è una male che l'adulto si affretta a correggere. In questa attitudine che, inconsciamente cancella la personalità del bambino, l'adulto agisce convinto di essere pieno di zelo, da amore e di sacrificio». (La scoperta del bambino)

P.S. Della stessa linea di pensiero e che completa la riflessione della Montessari un estratto di Thomas Paine:
«Il sapere che una persona acquisisce con l'istruzione scolastica serve solo, come un piccolo capitale, ad avviarla a imparare, in seguito, da sola. Ogni persona colta alla fin fine è maestra di se stessa, perché i principi non hanno la stessa natura dei fatti concreti; il loro luogo di residenza mentale è l'intelletto e non sono mai tanto durevoli come quando originano dalla mente stessa» (L'Età della Ragione)  

domenica, ottobre 20, 2013

Un paese credulone, troppo.

In Italia si lascia troppo spazio e si alimenta nel contempo l'affidarsi a persone che danno risposte superstiziose a problemi e curiosità della vita. In un paese dove ancora, purtroppo, si è in presenza di un personaggio che ha a disposizione uno spazio televisivo in una rete pubblica (RAI 2) per imbonire una vasta platea di persone con l'oroscopo, dove (ancora) si ha necessità di rifugiarsi a maghi e maghette, dove scrittori cavalcano l'ingenuità delle gente prosperando su segreti e misteri della Bibbia, il futuro non appare roseo. 
Il filoso Baruch Spinoza a ragione bollava la religione come fonte di «superstizione istituzionalizzata» e per le sue idee venne bandito dalla comunità ebraica (herem) di Amsterdam  e dalla cristianità cattolica e riformata del tempo. Nella sua opera alquanto controversa per i contemporanei e non, TRATTATO TEOLOGICO-POLITICO (1670), scrisse:

«La religione non risiede tanto nel seguire fedelmente gl'insegnamenti  dello Spirito Santo, quanto nel difendere ciò che gli uomini hanno escogitato; anzi, al punto che la religione non consiste nella carità, ma nel seminare discordie e nel propagandare un odio del tutto insensato, che viene camuffato sotto il falso nome di zelo divino o di ardente devozione. A questi mali si è aggiunta la superstizione, che insegna agli uomini a disprezzare la ragione e la natura a ad ammirare e venerare ciò che ad esse è contrario. Per cui non c'è da meravigliarsi che gli uomini, per ammirare e venerare di più la Scrittura, si ingegnino a spiegarla in modo che appaia il più possibile in contrasto con esse, cioè la ragione e la natura; perciò essi sognano che nella Scrittura siano nascosti profondissimi misteri e trascurate tutte le altre cose utili, consumano le loro forze nell'indagare tali misteri, cioè delle assurdità, e tutto quanto immaginano nel loro delirio lo attribuiscono allo Spirito Santo e si sforzano di sostenerlo con la massima forza e con impeto passionale. Gli uomini, infatti, sono fatti in modo che tutto quanto concepiscono con l'intelletto puro, lo sostengono con il solo intelletto e la ragione, mentre tutto quanto suppongono sotto l'influenza delle passioni dell'animo, lo sostengono in modo altrettanto passionale» (Cap. 7)                                                                                                        «Non mi stupirò dunque mai abbastanza degli ingegni di coloro i quali vedono nella Scrittura misteri così profondi da non poter essere spiegati da nessuna lingua umana, e che, quindi, hanno introdotto nella religione tante cose di speculazione filosofica da far apparire la Chiesa un'Accademia e la religione una scienza, o piuttosto una disputa» (Cap. 13)   

E' troppo difficile seguire il comandamento generico intriso nella Bibbia «ama il tuo prossimo» e non pensare a Dio in termini antropomorfi, senza quindi ricompensa/punizione?

            

domenica, aprile 21, 2013

Il nuovo che avanza: Napolitano Gì

Non è sempre vero che nuovo sia sinonimo di meglio o migliore perché a volte può significare inesperienza ma in ogni caso genera sempre curiosità. Quello che è accaduto alle recenti presidenziali italiane appare grottesco: un nome rispettabile e stimabile come Stefano Rodotà non è stato eletto e degli irresponsabili leader politici si sono lavati le mani e hanno appoggiato l'attuale presidente dimissionario con la foglia di fico delle "larghe intese" (nel 2006 Napolitano venne eletto con 543 preferenze).
Non so se sia stato più deleterio lo sbaglio di chi lo ha persuaso a tornare su suoi passi o la sua scelta di accettare. Certo è, la durata costituzionale di sette anni per un presidente della Repubblica è eccessiva, esagerata nel caso di Napolitano che a giugno compirà la bellezza di 88 anni.
Un'occasione mancata a causa di giochetti infantili e dell'ottusità dei nostri politici di professione. 

giovedì, settembre 27, 2012

E l'uomo creò Dio.

Proprio così, se prendessimo le parole della Bibbia capovolgendole avremmo questa frase che in tutta la storia di fatto è stata la forza più propulsiva di ogni altra. Una "necessità" ineludibile che poteva rispondere, benché parzialmente, all'arbitrarietà di una vita contingente. La religione, o per meglio dire, i sistemi religiosi hanno la funzione di stabilità la dove questa non può esservi, prospettare risposte la dove non può esserci alcune risposta logica e lenire le sofferenze di un'esistenza.
Sono del parere che:
"Se il modo in cui ogni uomo muore sembra di solito in balia dell'arbitrio, la sua mortalità è ineludibile. Le umane vite sono piene di simili combinazioni di necessità e di caso. Siamo tutti consci della contingenza e ineluttabilità del nostro particolare patrimonio genetico, del nostro sesso, del periodo in cui siamo nati, delle nostre capacità fisiche, della nostra madre-lingua, e così via. Il grande merito delle tradizionali visioni religiose del mondo (che naturalmente va distinto dal ruolo che hanno avuto nel legittimare precisi sistemi di dominio e sfruttamento) è stata la loro attenzione all'uomo nel cosmo, all'uomo come essere, alla contingenza della vita.    Il modo in cui, per migliaia di anni, buddismo, cristianesimo o Islam sono riusciti a sopravvivere in dozzine di diverse formazioni sociali testimonia la forza della loro risposta allo schiacciante fardello dell'umano soffrire - malattie, mutilazioni, dolore, vecchiaia e morte. Perché sono nato cieco? Perché il mio migliore amico è paralizzato? Perché mia figlia è ritardata? Le religioni cercano di spiegare. La grande debolezza di tutte le correnti di pensiero evoluzioniste-progressiste, incluso il marxismo, è che a tali domande rispondono con impaziente silenzio.  Allo stesso tempo, e in modi diversi, il pensiero religioso risponde anche a oscuri presagi d'immortalità, in genere trasformando la fatalità in continuità (karma, peccato originale...).     Per questa via esso è coinvolto nei nessi tra il morto e l'ancora nato, nel mistero della ri-generazione. Chi può vivere la concezione e nascita del proprio figlio senza l'oscura apprensione di combinata connessione, di casualità e fatalità in un linguaggio di «continuità»?" [Benedict Anderson, Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, 1991]

Dello stessa linea è stato Freud:
"...Ecco la terra che trema, si squarcia e seppellisce tutto ciò che esiste di umano e ogni cosa prodotta dall'uomo, l'acqua, che sollevandosi inonda e sommerge tutto; la tempesta, che spazza via ogni cosa. Ecco le malattie... ed ecco, infine, l'enigma doloroso della morte, contro la quale nessun farmaco è stato ancora né probabilmente si troverà mai. ... Per l'individuo singolo la vita è dura da sopportare [e quindi]... esige una consolazione. [L'uomo si sforza e cerca di] ... umanizzare la natura [ma] ... quando personifica le forze della natura, l'uomo si conform[a] a un modello infantile, ... la morte stessa non è alcunché di spontaneo. ... E' impresa senz'altro assurda voler eliminare la religione violentemente e di colpo. Soprattutto perché è impresa disperata. Il credente non si lascerebbe strappare la sua fede né tramite argomentazione né tramite proibizioni. E se anche la cosa riuscisse, sarebbe una crudeltà. Chi per decenni ha preso sonniferi naturalmente non può dormire se ne viene privato. Che l'effetto delle consolazioni religiose possa essere paragonato a quello di un narcotico appare chiaramente da quando sta succedendo in America [il proibizionismo, 1920-1933]. Ivi - manifestamente per influenza del domino femminile - si vogliono oggi privare gli uomini di tutti i generi di consumo eccitanti, inebrianti e voluttuari e, a titolo di risarcimento, li si sazia di timore di Dio. ... Ma l'infantilismo non è forse destinato a essere superato? L'uomo non può rimanere eternamente bambino, prima o poi deve avventurarsi nella «vita ostile». Questa può venir chiamata l'«educazione alla realtà». ... La voce dell'intelletto umano è fioca, ma non ha pace finché non ottiene udienza... [e] a lungo andare nulla può resistere alla ragione e all'esperienza. ... La civiltà ha poco da temere dagli uomini colti e da chi si dedica al lavoro intellettuale. In costoro, per quanto riguarda il comportamento civile, la sostituzione dei motivi religiosi con motivi diversi, laici, può avvenire senza strepitio, questi individui sono inoltre in gran parte portatori di civiltà. Le cose prendono un'altra piega quando si tratta di persone incolte, di uomini oppressi, che hanno tutti i motivi di essere nemici della civiltà. Tutto va bene finché non si accorgono che non si crede più in Dio. Ma prima o poi dovranno pur accorgersene." [Sigmund Freud, L'avvenire di un'illusione, 1927]
Nel XVIII secolo Voltaire avevo scritto che «Se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo»

venerdì, giugno 22, 2012

«Perché non vi ribellaste?». La collababorazione ebraica alla Shoa

Alla maturità di quest'anno la traccia del tema storico prende lo spunto dal libro della scrittrice ebrea Hannah Arendt, "La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme" (Feltrinelli, Milano 1964), e in modo più specifico da un passo tratto dal capitolo settimo "La conferenza di Wannsee, ovvero Ponzio Pilato" dove si è pianificato pubblicamente e a tavolino la "soluzione finale" nei confronti degli ebrei nei territori occupati dalla Germania. Un'ulteriore salto di qualità della gerarchia nazista con l'obiettivo sistematico dell'annientamento, un argomento questo che trova concordi la quasi totalità degli studiosi eccetto qualche negazionista che appunto rifiuta o minimizza le cifre delle vittime ebree che sono uscite dai campi di sterminio della Seconda guerra mondiale. Proprio la Arendt riporta Eichmann: 
«"Qui a questa conferenza, avevano parlato i personaggi più illustri, i papi del Terzo Reich". Ora egli vide con i propri occhi e udì con le prorie orecchie che... i più qualificati esponenti dei buoni vecchi servizi civili si disputavano l'onere di dirigere questa "crudele" operazione. «In quel momento mi sentii una specie di Ponzio Pilato, mi sentii libero da ogni colpa». ...Egli non fu né il primo né l'ultimo ad essere rovinato dalla modestia. ...Eichmann ebbe dunque molte occasioni di sentirsi come Ponzio Pilato, e col passare dei mesi e degli anni non ebbe più bisogno di pensare» (pp. 122, 142 "La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme" ) 

Quello che voglio sottolineare è che proprio nel capitolo settimo la Arendt solleva un punto molto controverso e scottante al tempo stesso: la collaborazione attiva e la responabilità dei capi ebraici allo sterminio del loro popolo (pag. 125 «Per un ebreo, il contributo dato dai capi ebraici alla distruzione del proprio popolo, è uno dei capitoli più foschi di tutta quella fosca vicenda»).
Riporto alcuni passi significativi per riflettere:


«Eichmann o i suoi uomini comunicavano ai Consigli ebraici degli Anziani [Judenrat] quanti ebrei occorrevano per formare un convoglio, e quelli preparavano gli elenchi delle persone da deportare. E gli ebrei si facevano registrare, riempivano innumerevoli moduli, rispondevano a pagine e pagine di questionaru riguardanti i loro beni, in modo da agevolare il sequestro; poi si radunavano nei centri di raccolta e salivano sui treni. I pochi  che tentavano di nascondersi o di scappare venivano ricercati da uno speciale corpo di polizia ebraico. A quanto constava ad Eichmann nessuno protestava, nessuno si rifiutava di collaborare. ... La semplice condiscendenza non sarebbe mai bastata né ad appianare le enormi difficoltà di un'oprezione che presto interessò tutta l'Europa occupata o alleata dei nazisti, né a tranquillizzare la coscienza degli esecutori, i quali in fondo erano stati educati al comandamento "Non ammazzare" e conoscevano il versetto della Bibbia "Tu hai ucciso e tu hai ereditato"» (p. 123)
«Naturalmente egli [Eichmann] non si aspettava che gli ebrei condividessero il generale entusiasmo per la loro distruzione, ma si aspettava qualcosa di più che la condiscendenza: si aspettava - e la ebbe in misura eccezionale - la loro collaborazione.Questa era la pietra angolare  di tutto ciò che faceva. ...Senza l'aiuto degli ebrei nel lavoro amministrativo e poliziesco... o ci sarebbe stato il caos completo oppure i tedeschi avrebbero dovuto distogliere troppi uomini dal fronte. ("E' fuor di dubbo che senza la collaborazione delle vittime ben difficilmente poche migliaia di presone, che per giunta lavoravani quasi tutte a tavolino , avrebbero potuto liquidare molte centinaia di migliaia di altri esseri umani... Lungo tutto il viaggio verso la morte, gli ebrei polacchi di rado vedevano più di un pugno di tedeschi". Così dice R. Pendorf.)» (p. 125)
«I funzionari ebrei erano incaricati di compilare le liste delle persone da deportare e dei loro beni, di sottrarre ai deportati il danaro per pagare le spese della deportazione e dello sterminio di tenere aggioranto l'elenco degli alloggi rimasti vuoti, di fornire forze di polizia per aiutare a catturare gli ebrei e a caricarli sui treni, e infine, ultimo gesto, di consegnare in buon ordine gli inventari dei beni della comunità per la confisca finale» (pp. 125-126)
«La soluzione finale si era svolta in un'atmosfera soffocante e avvelenata, e vari testimoni dell'accusa avevano confermato, lealmente e crudelmente, il fatto già ben noto che nei campi molti lavori materiali connessi allo sterminio erano affidati a speciali reparti ebraici; evevano narrato come questi lavorassero nelle camere a gas e nei crematori, estrassero i denti d'oro e tagliassero i capelli ai cadaveri, scavassero le fosse e più tardi riesumassero le salme per far sparire ogni traccia; avevano narrato come tecnici ebrei avessero costruito camere a gas a Theresienstadt e come qui l'"autonomia ebraica fosse arrivata al punto che perfino il boia era ebreo». (p. 130)
«Certo il popolo ebraico nel suo complesso era rimasto disorganizzato, non aveva avuto un terrirorio, un governo, un esercito: non aveva avuto un governo in esilio che lo rappresentasse presso gli Alleati (l'Agenzia ebraica per la Palestina, presieduta da Weizmann, era stata soltanto un miserabile surrogato), né depositi di armi, né una gioventù militarmente addestrata. Ma la verità vera era che sia sul piano locale che su quello internazionale c'erano state comunità ebraiche, partiti ebraici, organizzazioni assistenziali. Ovunque c'erano ebrei, c'erano stati capi ebraici riconosciuti, e questi capi quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti, in un modo o nell'altro, per una ragione o per l'altra. La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni» (p.132)
«Se ci siamo soffermati tanto su questo aspetto della storia dello sterminio, aspetto che il processo di Gerusalemme mancò di presentare al mondo nelle sue vere dimensioni, è perché esso permette di farsi un'idea esatta della vastità del crollo morale provocato dai nazisti nella "rispettabile" società europea - non solo in Germania ma in quasi tutti i paesi, non solo tra i persecutori ma anche tra le vittime» (p. 133)  

lunedì, marzo 05, 2012

«I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite»

We all prefer to resolve this issue diplomatically.  Having said that, Iran’s leaders should have no doubt about the resolve of the United States -- (applause) -- just as they should not doubt Israel’s sovereign right to make its own decisions about what is required to meet its security needs.  (Applause).                    [Fonte il sito della Casa Bianca]
Questo è a mio pare il passo più significativo del discorso che Obama ha tenuto davanti alla potente lobby degli ebrei americani, un nocciolo farcito da tante e ripetute parole per allentare la tensione e la voglia di intraprendere seriamente la via della guerra preventiva per risolvere una volta per tutte la possibilità (e la minaccia per loro) che un Iran indipendente e ostile possa dotarsi di armamenti nucleari. Paladini di questa soluzione estrema sono il Congresso, ovviamente bipartisan e il governo israeliano.
"Traducendo" queste parole, Obama mette in chiaro al regime iraniano come la linea principe sia quella diplomatica (pressioni, sanzioni) ma soprattutto che un'eventuale operazione militare da parte dello stato ebraico sia nel suo diritto e non produrrà alcun veto da parte degli Stati Uniti. Come dire, Israele ha il semaforo verde americano ma dovrà fare a meno di una sua partecipazione diretta e concreta alla fase militare eccetto per difendere Gerusalemme.
La scelta di intraprendere con vigore la via diplomatica è "dettata" in primo luogo dall'aver ricevuto nel 2009 il premio Nobel per la pace ("for his extraordinary efforts to strengthen international diplomacy and cooperation between peoples") proprio qualche mese dopo l'entrata in carica a Presidente degli USA, ed in secondo luogo (lo spero!) dal non voler infrangere la regola base della convivenza internazionale espressa nell'art. 2 par. 4 della Carta dell'ONUI Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite») in una fase un cui il Presidente americano ha pensato bene di avvertire la platea che «already, there is too much loose talk of war».            

giovedì, settembre 22, 2011

Le "scorciatoie" di Obama

E finalmente ci siamo arrivati! Il giorno in cui l'Autorità palestinese e l'OLP in seno alle Nazioni Unite dichiareranno al mondo l'intenzione formale di entrare come entità statuale nel consesso della Comunità internazionale. Come risposta al salto di qualità di strategia diplomatica intrapresa dalla leadership palestinese il presidente statunitense ha chiarito che " non c'è scorciatoia per terminare il conflitto che dura da decenni", ripetendo il famoso mantra:

«it is the Israelis and the Palestinians - not us - who must reach agreement on the issues that divide them: on borders and on security, on refugees and Jerusalem. Ultimately, peace depends upon compromise among people who must live together long after our speeches are over, long after our votes have been tallied. That’s the lesson of Northern Ireland, where ancient antagonists bridged their differences. That’s the lesson of Sudan, where a negotiated settlement led to an independent state. And that is and will be the path to a Palestinian state -- negotiations between the parties.»

Per una serie di circostanze all'indomani della guerra del Sei giorni del '67 i paesi arabi non hanno capito l'urgenza di confrontarsi diplomaticamente con Gerusalemme e con i famosi tre no di Karthoum hanno "incentivato" loro malgrado Israele ad iniziare quell'impresa di colonizzazione che tanto deleteria si è rivelata per la società e lo Stato israeliano in primis: più di 600.000 coloni nella West Bank e a Gerusalemme alimentano la situazione di discriminazione che esiste in questi territori. 
La richiesta del presidente palestinese all'ONU è una dichiarazione legittima contro l'occupazione per salvare la formula tanto cara anche all'Amministrazione americana "due territori per due stati che vivono in pace e sicurezza con riconosciuti confini".  
Condivido le parole di Obama che «Peace is hard work. Peace will not come through statements and resolutions at the United Nations - if it were that easy, it would have been accomplished by now. Ultimately, it is the Israelis and the Palestinians who must live side by side. Ultimately, it is the Israelis and the Palestinians - not us - who must reach agreement on the issues that divide them: on borders and on security, on refugees and Jerusalem», ma non si può rimanere inermi dall'inizio dal cosiddetto "processo di pace" degli anni novanta mentre Israele accelerava l'occupazione e bollare venti anni dopo l'iniziativa palestinese all'ONU come unilaterale! 
E la vera scorciatoia è l'occupazione israeliana che progredisce incessantemente proprio e soprattutto nei momenti dello stallo diplomaticamente bilaterale, l'azione unilaterale che ha sempre contraddistinto le azioni concrete sul terreno da parte di Israele. Questo purtroppo è il vulnus che è insito nei negoziati diretti e che ha inevitabilmente portato i palestinesi ha rivolgersi alle Nazioni Unite anzitutto come mezzo di pressione internazionale benché la strada intrapresa è lunga e irta di ostacoli, primo fra tutti il dichiarato uso del veto americano al Consiglio di Sicurezza sulla probabile risoluzione di "raccomandazione" necessaria all'iter di ammissione. 



   

lunedì, ottobre 11, 2010

Per qualche mese di pausa in più... (dopo decenni di occupazione)

E' apparso sul Financial Times un articolo sulla capacità dell'Amministrazione americana di usare la leva finanziaria per incentivare a rimuovere "volontariamente" i coloni dai territori occupati che riallaccia le fila del mio intervento del 25 agosto 2008 ("Il carattere umanitario nel finanziamento agli insediamenti") e di un'indagine più recente del New York Times ("Tax-Exempt Fund Iad Settlements in West Bank"). Scritto dalla consigliera legale del presidente palestinese Mahmoud Abbas, Diana Buttu, in un contesto come quello attuale dove si dibatte di un'ulteriore moratoria sulla costruzione degli insediamenti israeliani, evidenzia di nuovo lo stretto intreccio fra diversi gruppi e associazioni americani con lo sviluppo delle colonie. E' veramente ridicolo parlare di "pausa" nell'attività di costruzione per 1, 2, 5 o 12 mesi dopo tanti anni di occupazione militare, e un incessante stravolgimento fisico e demografico: o dobbiamo iniziare seriamente a parlare di smantellamento, altrimenti si deve prendere coscienza della situazione sul terreno e aspettarsi una federazione. L'alternativa è una discriminazione permanente.

lunedì, giugno 28, 2010

"A tribal mentality"

Lo scorso novembre mi ero soffermato sul rapporto, a mio parere fondamentale, fra Ebrei e Goym (non ebrei) ed è proprio a questo riferimento che segnalo un'ottimo articolo apparso su Haaretz. "Per noi [ebrei], non c'è nessun altro eccetto noi" è la sconcertante constatazione del giornalista che rende insensibili gli animi alle sofferenze altrui. La stessa insensibilità dimostrata dai vari ministri israeliani all'indomani della guerra di Gaza dove hanno perso la vita più di 400 bambini palestinesi.

mercoledì, giugno 02, 2010

Quello che i governi non riescono/vogliono fare

Passano settimane, mesi e anni ma dobbiamo tornare a parlare delle sconsiderate azioni di Israele e sono ripetizioni che diversi soggetti tacceranno come antisemitismo ma che sono soltanto delle dure critiche e il vero antisemitismo è tutt'altro. E come tante altre volte bisogna fare la conta delle vittime, ad oggi 10 e tutte civili, come conseguenza dell'assalto in acque internazionale alla nave turca diretta a Gaza per alleviare con aiuti umanitari l'insensato blocco navale imposto dal 2007.
Questa fatto è anche una lezione a tutte quelle persone che con modo superficiale considerano la Striscia di Gaza non più "territorio occupato" a seguito del ritiro dell'esercito israeliano nel 2005: il mondo si sveglia e "scopre" che ancora a Gaza è tutta sigillata.
Dobbiamo considerare la situazione soprattutto sotto un'altro punto di vista: dopo 43 anni di occupazione militare viene messa nudo l'incapacità o la non volontà politica di risolvere il conflitto mediorientale da parte delle Comunità internazionale e la contestualità della prorompente forza della società civile, composta organizzazioni umanitari, onlus, movimenti e semplici cittadini che si oppongono sempre più con azioni concrete sfidando questa ingiustizia.
E Israele?! Certamente passerà le prossime settimane a difendersi politicamente nelle sedi opportune, a dichiarare che i suoi commandos sono stati attaccati per primi e che hanno agito difendendosi, etc...; ma fondamentalmente sfrutterà il tempo per far passare in secondo ordine la disputa delle colonie e continuare a costruire, rendendo il tutto più arduo da risolvere.

mercoledì, febbraio 24, 2010

La perversa via dell'Apartheid

E' da lungo tempo che vado sostenendo come lo stato d'Israele abbia intrapreso una via pericolosa che scuote le fondamenta democratiche della società stessa, che adesso sempre più si levano voci critiche contro uno status quo caratterizzato dalla politica del mangiar tempo abbinata al fatto compiuto.
Una di queste proviene da Henry Siegman, esperto del Medio Oriente e in modo particolare del conflitto arabo-israeliano, con un articolo sul Financial Times (For Israel, defiance comes at the cost of legitimacy) Partendo da un dato di fatto incontrovertibile, ossia che lo stato ebraico ha ormai superato la soglia limite per la soluzione politica di due stati (nessun governo ha la capacità e la volontà di sradicare più di mezzo milione di coloni), ne deduce come la conseguenza imminente sia l'apartheid nei confronti dei palestinesi, e non ha torto. Ecco il passo decisivo:
"The disappearance of the two-state solution is triggering a third transformation, which is turning Israel from a democracy into an apartheid state. The democracy Israel provides for its (mostly) Jewish citizens cannot hide its changed character. A democracy reserved for privileged citizens while all others are denied individual and national rights and kept behind checkpoints, barbed wire fences and separation walls manned by Israel’s military, is not democracy."
E lo sappiamo bene che fine hanno fatto regimi macchiati da una politica di discriminazione e razzismo.

giovedì, febbraio 04, 2010

«La reazione GIUSTA ai missili di Hamas lanciati da Gaza»: Berlusconi giustifica la guerra di Gaza

Una parola "GIUSTA", assente nel testo scritto ma che il presidente Berlusconi non ha mancato di pronunciare nell'intervento alla Knesset israeliana, qualifica pesantemente la presa di posizione nei confronti della guerra di Gaza dove le sole vittime, per la maggior parte civili, hanno superato le 1400 unità. Il primo ministro italiano certamente manca di audacia perché di fronte a una platea di parlamentari e leader israeliani non dire una sola parola sulla colonizzazione che da più di 40 anni non cessa di opprimere, non sbattere in faccia la complessità della realtà e pronunciare belle e altisonanti parole per compiacere all'ascoltatore è sintomo non di coraggio e amicizia, ma di opportunismo politico.
La realtà è nel Rapporto Goldstone e nei crimini commessi da ambo le parti, ma sempre con le doverose differenziazioni di ruolo e intensità (vedi post precedenti).
Ma anche se volessimo avvicinarci alle parole di Berlusconi e legittimare genericamente la reazione di Israele, il premier avrebbe potuto considerare quest'ultima come, ad esempio, "affrettata", "istintiva", "non pienamente valutata", persino addirittura "sproporzionata", come nei fatti lo è stata. Invece, neanche quel minimo tatto diplomatico ha impedito l'aggiunta deliberata dell'aggettivo "GIUSTA" senza i doverosi distinguo.
Le lodi gratuite fatte a Israele («il più grande esempio di democrazia e di libertà nel Medio Oriente», «il popolo ebraico è un "fratello maggiore"», «un avamposto della cultura europea e occidentale», «una vera democrazia, una società libera e orgogliosa della sua libertà, uno Stato libero e democratico in tutto eguale alle democrazie europee») sono alquanto sterili di fronte alla forza della realtà: la negazione coi fatti del diritto di autodeterminazione del popolo palestinese.
Cosa accadrà in futuro se lo stato ebraico riuscirà a ottenere la solidarietà delle maggiori potenze politiche mondiali, persino dopo un'insensata violenza come è accaduto a Gaza?

lunedì, novembre 09, 2009

Ebrei e goym

E' sintomatico constatare come sia ancora attuale la problematica relazione tra gentili ed ebrei, soprattutto alla luce di questi ultimi (per approfondire la questione consiglio la lettura del libro "Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni" di Israel Shahak, Centri Librario Sodalitium, 2000).
Prendo spunto da un articolo sul sito di haaretz in cui il rabbino Yitzhak Shapiro ha sostenuto che "it is permissable to kill the Righteous among Nations even if they are not responsible for the threatening situation, if we kill a Gentile who has sinned or has violated one of the seven commandments - because we care about the commandments - there is nothing wrong with the murder". Ancora più allarmante sono le parole conclusive dove "several prominent rabbis, including Rabbi Yithak Ginzburg and Rabbi Yaakov Yosef [membro della Shas della Knesset], have recommended the book to their students and followers." Penso non ci sia cosa più spregevole che far crescere persone con queste idee grette e distorte. E' proprio su questo campo che la Comunità internazionale deve svolgere un monitoraggio severo e critico contro ogni intolleranza religiosa ed etnica che può essere foriera di futuri conflitti. Altrimenti scoppieranno violenze e sembreranno come nate dal nulla, negando alla storia la sua funzione principale: quella non far ripetere gli errori.
Questa diversità fra ebrei e goym è stata causata dall'esclusivismo e dall'elezione divina del popolo ebraico, sanato in parte grazie dall'universalismo di San Paolo ("Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù", Galati 3-28).
Persino nei Vangeli di Marco (7,24-30) e Matteo (15,21-28) possiamo vedere Gesù in un comportamento inizialmente sprezzante nei confronti di una donna cananea (e quindi pagana) che aveva implorato un suo segno affinché guarisse la figlia: in questo contesto sembrerebbe sottolineare una diversità (contingente) di ruoli fra i "figli" (i giudei della Casa d'Israele) e i "cagnolini" (pagani in procinto di aderire alla nuova dottrina), dove ai primi, popolo di Israele, è ancora rivendicato il primato d'onore ed esclusivo e per questo i primi destinatari del "Pane del Vangelo", mentre agli altri non rimangono semmai che delle "briciole" ("Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini" in Marco; "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele ... Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini" in Matteo).

sabato, ottobre 10, 2009

La responsabilità futura che il Premio Nobel x la Pace caricherà su Obama

Un po' di sorpresa l'ho avuta nell'apprendere che il Premi Nobel per la Pace 2009 verrà assegnato al Presidente americano Barak Obama ("for his extraordinary efforts to strengthen international diplomacy and cooperation between peoples").
Ma certamente ha un'altra ragione: quella di predeterminare le future decisioni politiche del Presidente americano proprio perché verranno misurate su questo precedente. La rivoluzione portata avanti da Obama riguarda l'atteggiamento cooperativo verso il mondo musulmano, la sottolineatura sugli aspetti che uniscono i paesi e i popoli piuttosto su quelli che dividono, la volontà di bandire totalmente in un indefinito prossimo le armi nucleari, la chiusura di Guantánamo e il rigetto della pratica della tortura. Punti fondamentali ma, purtroppo, che non giustificano del tutto il premio perché non è suffragato dalla concretezza delle azioni e sui risultati acquisiti.
Un riconoscimento forse concesso troppo presto, in anticipo per i più ottimisti, come se fosse una credito da parte della Comunità internazionale piena di fiducia in questo Presidente ma che potrebbe risultare in una carico troppo pesante. I prossimi anni Obama per smarcarsi completamente da Bush dovrà risolvere le guerre ereditate in Iraq e in Afganistan ma soprattutto perseguire con tenacia una soluzione politica in Medio Oriente con la fine della vergognosa occupazione militare (42 anni) da parte di Israele.

domenica, ottobre 04, 2009

Il «peccato di gioventù» del signor Polanski

Disgusto apprendere (citato dal New York Times) che l'intellettuale francese Bernard-Henri Lévi abbia qualificato il comportamento del famoso regista Roman Polanski nell'aver fatto sesso con una ragazza di 13 anni nel lontano 1977 «a youthful error». Al tempo della sua "bravata", Polanski aveva la bellezza di 44 anni quindi non "nell'attenuante" età adolescenziale.
Non si può scusare nessuno per questo genere di crimine.
A buona ragione, la vita del regista polacco è costellata di successi, altrettanto si può dire della sua genialità, dei suoi film (molto bello è "Oliver Twist") o del fatto che abbia avuto un passato difficile e sofferto come testimonia la sua fuga dalla violenza nazista (la madre non ci riuscì e morì ad Auschwitz). Tutto ciò, però, non può esimere nessuno dal commettere questi seri reati.
Nello schierarsi pubblicamente dalla parte del perdono con questa frase, Beranrd-Henry Lévi è molto meno intellettuale e molto più carente nella sua onestà (intellettuale).

martedì, settembre 29, 2009

«A culture of impunity in the region has existed for too long»

Esattamente il 21 settembre in un interessante articolo sul quotidiano israeliano Haaretz, Jonathan Freedland si chiede coraggiosamente se «Isn't it possible to acknowledge someone's pain without promising to turn back the clock and undo the events that led to it? Surely we know from our personal lives that sometimes it is simply the acknowledgment itself - the admission of responsibility - that has a healing effect.» Ci si riferisce ai tragici avvenimenti nel 1948/49 dove Israele è stato fondato accanto alla guerra che ha prodotto più di 700.000 rifugiati arabi palestinesi. Sono convinto che un sincero riconoscimento della responsabilità, più o meno direttamente, da parte di Israele delle sofferenze patite dalla popolazione araba in quegli anni sarà un pre-requisito fondamentale di una futura pace tra i due popoli. Il 1948, non lo dimentichiamo, rimane alla radice del conflitto arabo-israeliano.
Prendo spunto da questo tema per collegarmi alla dichiarazione di Richard Goldstone davanti al Consiglio dei diritti umani, durante il dibattito sul rapporto di Gaza da lui stesso diretto:
«It has been my experience in many regions of the world, including my own country, South Africa, that peace and reconciliation depend, to a great extent, upon public acknowledgement of what victims suffer. That applies no less in the Middle East. It is a pre-requisite to the beginning of the healing and meaningful peace process. ...The truth and accountability are also essential to prevent ascribing collective guilt to a people. ... People of the region should not be demonized. Rather their common humanity should be emphasized.» E' un principio centrale che deve essere ben tenuto a mente.
Il rapporto Gaza è stato oggetto di critiche al vetriolo da parte del governo israleliano e dei suoi sostenitori ma Goldstone ha ribadito la sostanza delle sue indagini e conclusioni. Eccone altri stralci:
«Since the release of the advance version of the report two weeks ago, we have witnessed many attestations of support, but also a barrage of criticism towards our findings as well as public attacks against the Members of the Mission. We will not address these attacks as we believe that the answers to those who have criticised us are in the findings of the report. I have, however, to strongly reject one major accusation levelled against the Mission; the one that portrays our efforts as being politically motivated. Let me repeat before this Council what I have already stated on many occasions: We accepted this Mission because we believe deeply in the rule of law, humanitarian law, human rights, and the principle that in armed conflict civilians should to the greatest extent possible be protected from harm. We accepted with the conviction that pursuing justice is essential and that no state or armed group should be above the law. Failing to pursue justice for serious violations during any conflict will have a deeply corrosive effect on international justice. ...
The Mission investigated in some detail the effects on the civilian population in Southern Israel of the sustained rocket and mortar attacks from Palestinian armed groups in Gaza. We detail the suffering of victims and the highly prejudicial effects of these acts on the towns and cities that fall within the range of the rockets and mortars. The Mission decided that in order to understand the effect of the Israeli military operations on the infrastructure and economy of Gaza, and especially its food supplies, it was necessary to have regard to the effects of the blockade that Israel has imposed on the Gaza Strip for some years and has been tightened since Hamas became the controlling authority of Gaza. The Mission found that the attack on the only remaining flour producing factory, the destruction of a large part of the Gaza egg production, the bulldozing of huge tracts of agricultural land, and the bombing of some two hundred industrial facilities, could not on any basis be justified on military grounds. Those attacks had nothing whatever to do with the firing of rockets and mortars at Israel. The Mission looked closely and sets out in the Report statements made by Israeli political and military leaders in which they stated in clear terms that they would hit at the “Hamas infrastructure”. If “infrastructure” were to be understood in that way and become a justifiable military objective, it would completely subvert the whole purpose of IHL built up over the last 100 years and more. It would make civilians and civilian buildings justifiable targets. These attacks amounted to reprisals and collective punishment and constitute war crimes. The Government of Israel has a duty to protect its citizens. That in no way justifies a policy of collective punishment of a people under effective occupation, destroying their means to live a dignified life and the trauma caused by the kind of military intervention the Israeli Government called Operation Cast Lead. This contributes to a situation where young people grow up in a culture of hatred and violence, with little hope for change in the future. ...
The Mission is highly critical of the pusillanimous efforts by Israel to investigate alleged violations of international law and the complete failure by the Gaza authorities to do so in respect of the armed groups. That notwithstanding the Mission came to the conclusion that both Israel and the Gaza Authorities have the ability to conduct open and transparent investigations and launch appropriate prosecutions if they decide to do so. ...
In both cases, if within the six month period there are no good faith investigations conforming to international standards, the Security Council should refer the situation or situations to the ICC Prosecutor. ...
A culture of impunity in the region has existed for too long.
The lack of accountability for war crimes and possible crimes against humanity has reached a crisis point; the ongoing lack of justice is undermining any hope for a successful peace process and reinforcing an environment that fosters violence. Time and again, experience has taught us that overlooking justice only leads to increased conflict and violence».
Proprio nelle ultime pagine il Rapporto affrontava il problema e la necessità di giudicare i responsabili da ambo le parti:
"The Mission is firmly convinced that justice and respect for the rule of law are the indispensable basis for peace. The prolonged situation of impunity has created a justice crisis in the OPT that warrants action. ...
The Mission notes that the responsibility to investigate violations of international human rights and humanitarian law, prosecute if appropriate and try perpetrators belongs in the first place to domestic authorities and institutions. This is a legal obligation incumbent on States and state-like entities. However, where domestic authorities are unable or unwilling to comply withthis obligation, international justice mechanisms must be activated to prevent impunity.
The Mission believes that, in the circumstances, there is little potential for accountability for serious violations of international humanitarian and human rights law through domestic institutions in Israel and even less in Gaza. The Mission is of the view that longstanding impunity has been a key factor in the perpetuation of violence in the region and in the reoccurrence of violations, as well as in the erosion of confidence among Palestinians and many Israelis concerning prospects for justice and a peaceful solution to the conflict. The Mission considers that several of the violations referred to in this report amount to grave breaches of the Fourth Geneva Convention.
It notes that there is a duty imposed by the Geneva Conventions on all High Contracting Parties to search for and bring before their courts those responsible for the alleged violations. The Mission considers that the serious violations of International Humanitarian Law recounted in this report fall within the subject-matter jurisdiction of the International Criminal Court (ICC). The Mission notes that the United Nations Security Council has long recognized the impact of the situation in the Middle East, including the Palestinian question, on international peace and security and that it regularly considers and reviews this situation. The Mission is persuaded that, in the light of the long standing nature of the conflict, the frequent and consistent allegations of violations of international humanitarian law against all parties, the apparent increase in intensity of such violations in the recent military operations, and the regrettable possibility of a return to further violence, meaningful and practical steps to end impunity for such violations would offer an effective way to deter such violations recurring in the future. The Mission is of the view that the prosecution of persons responsible for serious violations of international humanitarian law would contribute to ending such violations, to the protection of civilians and to the restoration and maintenance of peace."

martedì, settembre 22, 2009

A Gaza l'inferno e la persecuzione

Siamo arrivati a un ennesimo rapporto su un'altra guerra, svoltasi a Gaza e nel sud d'Israele dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009. Ma questa volta il risultato a cui sono giunti i quattro componenti brucia assai per Israele, sia per il fatto che il rapporto (A/HRC/12/48) accusa senza mezzi termini lo stato ebraico con una sfilza di violazioni del diritto internazionale dove per la maggiore parte equivalgono a crimini di guerra, e perché a capo della commissione d'inchiesta c'e un illustre giurista sudafricano ebreo Richard Goldstone, un posto scomodo poiché impedisce ai sostenitori di Israele di tacciare di punto in bianco il rapporto come antisemita. Infatti, interpellata dalla radio dell'esercito israeliano, la figlia lo ha definito come «He is a Zionist, my dad loves Israel and it wasn't easy for him to see and hear what happened. I think he heard and saw things he didn't expect to see and hear».
Dicevo "ennesimo rapporto" ricordando come tutte le varie inchieste non sono state seguite, per vari motivi e ostacoli politici, da una rispondenza sul piano concreto della giustizia per le vittime: nelle conclusioni
"The Mission was struck by the repeated comment of Palestinian victims, human rights defenders, civil society interlocutors and officials that they hoped that this would be the last investigative mission of its kind, because action for justice would follow from it. It was struck, as well, by the comment that every time a report is published and no action follows, this “emboldens Israel and her conviction of being untouchable”. To deny modes of accountability reinforces impunity and impacts negatively on the credibility of the United Nations, and of the international community. The Mission believes these comments ought to be at the forefront in the consideration by Members States and United Nations bodies of its findings and recommendations and action consequent upon them."
Basta osservare i numeri delle sole vittime da ambo la parti per constatare che la "guerra" è stata a senso unico: in appena tre settimane di conflitto ci sono stati più di 1400 morti tra i palestinesi di cui per la maggior parte "persone protette", incluse più di 300 persone sotto i diciotto anni; 3 civili e 10 militari israeliani di cui quattro da fuoco amico. Questo verdetto sul campo con tanti civili uccisi non lasciava scampo dall'essere confermata da questa Missione investigativa del Consiglio dei diritti umani che aveva il compito di "to investigate all violations of international human rights law and international humanitarian law that might have been committed at any time in the context of the military operations that were conducted in Gaza during the period from 27 December 2008 and 18 January 2009, whether before, during or after."
Tuttavia, è evidente che gruppi armati palestinesi con il lancio di missili nel sud d'Israele abbiano commesso crimini di guerra che "may amount to crimes against humanity", con l'intento di diffondere terrore fra la popolazione. Il rapporto non ha trovato, invece, prove convincenti sulle azioni armate che questi hanno intrapreso nelle vicinanze di centri abitati o di obiettivi civili:
"The conduct of hostilities in built-up areas does not, of itself, constitute a violation of international law. However, launching attacks - whether of rockets and mortars at the population of southern Israel or at the Israeli armed forces inside Gaza - close to civilian or protected buildings constitutes a failure to take all feasible precautions. In cases where this occurred, the Palestinian armed groups would have unnecessarily exposed the civilian population of Gaza to the inherent dangers of the military operations taking place around them. The Mission found no evidence to suggest that Palestinian armed groups either directed civilians to areas where attacks were being launched or that they forced civilians to remain within the vicinity of the attacks. The Mission also found no evidence that members of Palestinian armed groups engaged in combat in civilian dress. Although in the one incident of an Israeli attack on a mosque it investigated the Mission found that there was no indication that that mosque was used for military purposes or to shield military activities, the Mission cannot exclude that this might have occurred in other cases."
Analizzando più da vicino la condotta e i mezzi impiegati dall'esercito israeliano a Gaza possiamo scorgere il perché questo rapporto abbia alzato un polverone in Israele e nella diaspora: confuta palesemente lo scopo politico del governo che a suo tempo aveva cercato di giustificare la massiccia impresa militare. Nelle dure parole del rapporto:
"The Gaza military operations were, according to the Israeli Government, thoroughly and extensively planned. While the Israeli Government has sought to portray its operations as essentially a response to rocket attacks in the exercise of its right to self defence, the Mission considers the plan to have been directed, at least in part, at a different target: the people of Gaza as a whole. In this respect, the operations were in furtherance of an overall policy aimed at punishing the Gaza population for its resilience and for its apparent support for Hamas, and possibly with the intent of forcing a change in such support. The Mission considers this position to be firmly based in fact, bearing in mind what it saw and heard on the ground, what it read in the accounts of soldiers who served in the campaign, and what it heard and read from current and former military officers and political leaders whom the Mission considers to be representative of the thinking that informed the policy and strategy of the military operations." Quindi "the destruction of food supply installations, water sanitation systems, concrete factories and residential houses was the result of a deliberate and systematic policy by the Israeli armed forces. It was not carried out because those objects presented a military threat or opportunity but to make the daily process of living, and dignified living, more difficult for the civilian population... what occurred in just over three weeks at the end of 2008 and the beginning of 2009 was a deliberately disproportionate attack designed to punish, humiliate and terrorize a civilian population".
Sono accuse gravi e pesanti che non devono minimizzare il fatto che "the concept of “normalcy” in the Gaza Strip has long been redefined due to the protracted situation of abuse and lack of protection deriving from the decades-long occupation."
La commissione sottolinea inoltre che "the Israeli armed forces, like any army attempting to act within the parameters of international law, must avoid taking undue risks with their soldiers’ lives, but neither can they transfer that risk onto the lives of civilian men, women and children. The fundamental principles of distinction and proportionality apply on the battlefield, whether that battlefield is a built up urban area or an open field. The repeated failure to distinguish between combatants and civilians appears to the Mission to have been the result of deliberate guidance issued to soldiers, as described by some of them, and not the result of occasional lapses."
Si parla anche dell'impatto della disumanizzazione che causa ogni guerra: "as in many conflicts, one of the features of the Palestinian-Israeli conflict is the dehumanization of the other, and of victims in particular. Palestinian psychiatrist Dr Iyad Sarraj explained the cycle of aggression and victimization through which “the Palestinian in the eyes of the Israeli soldier is not an equal human being. Sometimes […] even becomes a demon [… ]” This “culture of demonization and dehumanization” adds to a state of paranoia. “Paranoia has two sides, the side of victimization, I am a victim of this world, the whole world is against me and on the other side, I am superior to this world and I can oppress it. This leads to what is called the arrogance of power.” As Palestinians, “we look in general to the Israelis as demons and that we can hate them, that what we do is a reaction, and we say that the Israelis can only understand the language of power. The same thing that we say about the Israelis they say about us, that we only understand the language of violence or force. There we see the arrogance of power and [the Israeli] uses it without thinking of humanity at all. In my view we are seeing not only a state of war but also a state that is cultural and psychological"... Israeli college teacher Ofer Shinar offered a similar analysis: “Israeli society’s problem is that because of the conflict, Israeli society feels itself to be a victim and to a large extent that’s justified and it’s very difficult for Israeli society to move and to feel that it can also see the other side and to understand that the other side is also a victim. This I think is the greatest tragedy of the conflict and it’s terribly difficult to overcome it".
Ancora accuse contro l'esercito israeliano ("the most moral army in the world"):
"The Mission found numerous instances of deliberate attacks on civilians and civilian objects (individuals, whole families, houses, mosques) in violation of the fundamental international humanitarian law principle of distinction, resulting in deaths and serious injuries. In these cases the Mission found that the protected status of civilians was not respected and the attacks were intentional, in clear violation of customary law reflected in article 51(2) and 75 of the First AP, article 27 of the Fourth Geneva Convention and articles 6 and 7 of ICCPR. In some cases the Mission additionally concluded that the attack was also launched with the intention of spreading terror among the civilian population. Moreover, in several of the incidents investigated the Israeli armed forces not only did not use their best efforts to permit humanitarian organisations access to the wounded and medical relief, as required by customary international law reflected in Article 10(2) of Additional Protocol 1, but they arbitrarily withheld such access."
In conclusione del rapporto, "the conditions resulting from deliberate actions of the Israeli forces and the declared policies of the Government with regard to the Gaza Strip before, during and after the military operation cumulatively indicate the intention to inflict collective punishment on the people of the Gaza Strip. The mission, therefore, finds a violation of the provisions of Articles 33 of the Fourth Geneva Convention."
Fino alla possibilità di catalogare le azioni militari israeliane come possibile crimine di persecuzione, rientrante nel più ampio crimine contro l'umanità: "The Mission further considers that the series of acts that deprive Palestinians in the Gaza Strip of their means of subsistence, employment, housing and water, that deny their freedom of movement and their right to leave and enter their own country, that limit their rights to access a court of law and an effective remedy, could lead a competent court to find that the crime of persecution, a crime against humanity, has been committed."
I risultati della commissione d'inchiesta sono veramente severi per entrambe e parti ma vorrei mettere in risalto due punti di fondamentale importanza: la costante negazione del diritto di autodeterminazione del popolo palestinese ("Insofar as movement and access restrictions, the settlements and their infrastructure, demographic policies vis-à-vis Jerusalem and Area C of the West bank, as well as the separation of Gaza from the West Bank, prevent a viable, contiguous and sovereign Palestinian state from arising, they are in violation of the ius cogens right to self-determination.") e l'estrema diseguaglianza delle condizioni di partenza fra le parti in conflitto, benché giuridicamente uguali nei diritti e nei doveri di fronte alla jus in bello ("In carrying out its mandate, the Mission had regard, as its only guides, for general international law, international human rights and humanitarian law, and the obligations they place on States, the obligations they place on non-state actors and, above all, the rights and entitlements they bestow on individuals. This in no way implies equating the position of Israel as the Occupying Power with that of the occupied Palestinian population or entities representing it. The differences with regard to the power and capacity to inflict harm or to protect, including by securing justice when violations occur, are obvious and a comparison is neither possible nor necessary. What requires equal attention and effort, however, is the protection of all victims in accordance with international law.")