mercoledì, luglio 23, 2008

Quando le vere vittime sono i bambini...

Pubblico la risposta della Professoressa Eve Spangler al mio intervento sull'articolo «The Deaths of Children»:
"Many thanks for your kind words. I agree with you entirely... it's not just the occupation of 1967, but the Nakba of 1948 that is at the root of the present conflict. How sad that we still must be in struggle about this. Eve"
Qui di seguito il mio iniziale commento:
"Distinguished Professor, I read your article («The Deaths of Children») and I have to commend for revealing the truth in the occupied Palestinian territories. Of course, the military occupation for over forthy years is the main obstacle to reach the peace, and as you said, this context supported and kept the gross breach of the human rights for the parties in conflict until now. But there is another fact on the ground to tackle by the entire International community: the expulsion of more 700.000 palestinians without return, without compensation, after only three years since the end of World War II in which ther european jews undergone the Nazis crimes, after the Nuremberg Trials estabilished the crimes of war and the crimes against humanity." Best regards. Nazzareno Tomassini"
In conclusione, riporto una parte della dichiarazione del funzonario ONU Jan Egeland di fronte alla tragedia della guerra Israele-Libano dell'estate 2006 (vedi il post del 30 luglio), parole crude che non necessitano di commento:
"If there are many more dead children in a conflict than armed men, there is something fundamentally wrong, not only with how the armed men behave and where they hide, but also with the way the response is being conducted"

sabato, luglio 12, 2008

Abusi sessuali e Chiesa cattolica: solo incompatibilità?

Papa Benedetto XVI durante il viaggio per l'Australia dove presenzierà la Giornanta Mondiale della Gioventù, si è espresso in questo modo sul tema della pedofilia e Chiesa cattolica: «Essere prete e' incompatibile con gli abusi sessuali, con questo comportamento che contraddice la santità». Quando ho letto questa breve notizia su vari giornale on line ho immediatamente pensato che implicitamente qualche status o condizione giustificasse questa violenza, ad esempio un soldato in guerra. In poche parole, quello che è incompatibile per alcuni può o potrebbe essere compatibile per altri in diverse circostanze. Quella di Ratzinger è certamente un'uscita non felice e superficiale, soprattutto in un momento dove i fatti di cronaca che trattano questa fattispecie aumentano. Sono altrattanto sicuro della buona fede e della bontà delle parole del Papa, ma su questo terreno penso occorra essere più che chiari: gli abusi e la violenza sessuale devono essere strenuamente e con forza condannati, senza alcuna condizione! Sono crimini che, sencondo il Ponteficie giustamente contraddicono la santità, ma vengono perpetrati concretamente sulla pelle di bambine/i, ragazze/i, donne e uomini. Occupiamoci delle vittime, la santità verrà da se.

"The battle for the territories"

Sadly, things on the ground going on unabated and peace seems faraway. It's the creeping war against the Palestinian people.

lunedì, giugno 30, 2008

Israele nei pensieri degli americani

Interessante questo breve articolo di Walter Russel Mead pubblicato su Foreign Affairs dove viene riassunta l'idea di Israele agli occhi degli americani, ripercorrendo storicamente i parallelismi dei due paesi per spiegare come si sia arrivati alla special relationship di oggi.
L'autore, nella sua conclusione, afferma che «in the future, as in the past, U.S. policy toward the Middle East will, for better or worse, continue to be shaped primarily by the will of the American majority, not the machinations of any minority, however wealthy or engaged in the political process some of its members may be», esito che si scontra con chi sostiene che la politica mediorientale statunitense sia pesantemente influenzata dalla lobby ebraica (Cfr. il recente libro di John Mearsheimer e Stephen Walt "La Israel Lobby e la politica estera americana").

martedì, maggio 13, 2008

La visione accademica del "processo di pace" e la dura realtà dei fatti

Molto interessante questo articolo "Forget the two-state solution" pubblicato dal Los Angeles Times, dove l'autore giustamente sottolinea come siano divergenti le proposte avanzate dai maggiori commentatori e politici per una soluzione al conflitto arabo-israeliano con la politica del fait accompli.

mercoledì, marzo 12, 2008

Terra, terra, e ancora terra

Dal 27 febbraio al 3 marzo nella Striscia di Gaza la violenza ha raggiunto dei limiti spaventosi. Nell'infinita lotta tra israeliani e palestinesi, mettere un punto fermo nelle continue azioni terroristiche e rappresaglie è impossibile, ma soprattutto sarebbe fuorviante considerare questo stato di cose come criterio per dare giudizi o critiche, ma anche per cercare di comprendere un contesto che non può essere lasciato alla superficialità. Tuttavia, è giocoforza ritenere l'uccisione di un israeliano da parte di un missile Kassam sparato indiscriminatamente dalla milizia palestinese sulla città di Sderot come la scintilla che ha scatenato la dura risposta dell'esercito israeliano. In questi pochi giorni i massacri e le distruzioni hanno stilato questi impietosi numeri: da parte paestinese, 107 vittime (27 bambini, 5 donne e 20 uomini), di cui quasi la metà (52) civili + 250 feriti; da parte israeliana, 1 vittima civile e 2 militari più 25 feriti (i dati sono presi dall'Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, OCHA). La scontata reazione palestinese si è avuta con l'uccisione di otto giovani studenti in un seminario rabbinico a Gerusalemme, un'attenato simbolico proprio contro l'ideologia che alimenta l'insediamento e l'occupazione del Territori palestinesi. L'edizione on line del tabloid israeliano Yedioth Ahronoth ha pubblicato il 9 marzo un articolo del rabbino Yoel Ben-Nun, "The power of land", dove viene valutata la situazione alla luce dell'ultima azione terroristica e prospettata una soluzione sul da farsi. Ecco le parole chiave:
"Rabbi Zvi Yehuda Kook [1891-1982, ispiratore e leader del movimento dei coloni] did not educate his students to be zealous or vengeful. He always said we had no war with “Ahmad and Mustafa,” but rather, with an enemy that seeks to destroy our independence and send us back to the Diaspora. He believed and insisted that our control over the entire Land [Eretz Yisrael] if Israel is the most moral choice under the current conditions and will ultimately bring peace. Therefore, the proper revenge for the murder at the yeshiva is under no circumstances more bloodshed. This would only serve the evil members of Hamas, who are drenched in blood. The proper revenge is through land, the land of Israel. This is the only thing they [gli arabi] understand"
Sostanzialmente, l'autore consiglia allo stato d'Israele di intensificare la colonizzazione dei territori occupati mettendo in patrica il comandamento delineato nel libro biblico dei Numeri (33:53):
50"Il Signore disse a Mosè nelle steppe di Moab presso il Giordano di Gerico: 51 "Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan, 52 caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture. 53 Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà. 54 Dividerete il paese a sorte secondo le vostre famiglie. A quelle che sono più numerose darete una porzione maggiore e a quelle che sono meno numerose darete una porzione minore. Ognuno avrà quello che gli sarà toccato in sorte; farete la divisione secondo le tribù dei vostri padri. 55 Ma se non cacciate dinanzi a voi gli abitanti del paese, quelli di loro che vi avrete lasciati saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi e vi faranno tribolare nel paese che abiterete. 56 Allora io tratterò voi come mi ero proposto di trattare loro"."
Quindi, non più vendetta di sangue o almeno non primariamente ma l'obiettivo fondamentale rimane sempre avere il controllo della terra di Giudea e Samaria. U
n circolo vizioso in cui il peccato originale è l'occupazione.

lunedì, febbraio 18, 2008

Un'indipendenza azzardata

Una mia lettera all'Economist dell'ottobre 2005 sulla questione del Kosovo resta ancora attuale per comprendere i rischi e le problematiche future che ha innescato la nascita del nuovo Stato:
"According to public international law, there is no right to unilateral secession from a sovereign state. From time immemorial, the international community has strongly protect the territorial integrity and the inviolability of the borders, other than by mutual agreement. In one word: the stability of the international order. Although the principle (and the right later, with the relative obbligation upon the colonial countries) of self-determination of peoples was codified in the UN Charter, the application was limited to the context of decolonization within the inherited national border (uti possidetis iuris, the principle of respect for frontiers existing at the moment of independence). The rigth to self-determination amount to a 'special' independence, and the beneficiaries are peoples "geographically separate and distinct ethnically and/or culturally from the colonial power".
The end of the Cold War changed state practice with regard to recognition states created by the "dissolution" (not secession from...) of the Soviet Union and Yugoslavia, two federal states. The (constitutive) recognition by the European Community was more a matter of political discretion subject to several conditions than the traditional declaratory type based on the effective control of the territory. Kosovo ("The wheels grind on", October 8th) was sub-federal province of the SFRY and now is formally a part of Serbia and has the right of self-determination only internally. In other words: a "self-governing" entity enjoy of all rights upon minorities (as opposed to "peoples") within serbia sovereignty, the constituent part of a federal state. Granting Kosovo independence tout court, it will be a dangerous precedent/opportunity for the international community/secessionist movements in the time to come."

domenica, febbraio 10, 2008

La conversione degli ebrei nella liturgia cattolica

Avevo già sottolineato nel post del 14 luglio 2007 l'inconciliabilità delle due preghiere tridentine e post-tridentine pronunciate nel solenne Venerdì Santo a favore degli ebrei, e la necessità di un intervento chiarificatore da parte della Santa Sede. Papa Benedetto XVI ha autorizzato modifiche sostanziali alla preghiera di rito tridentino che adesso suona così:
"Preghiamo anche per gli ebrei, affinché Iddio Signore nostro illumini i loro cuori e riconoscano Gesù Cristo come Salvatore di tutti gli uomini. Preghiamo. Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini siano salvati e arrivino a riconoscere la verita', concedi benevole che tutto Israele sia salvato all'ingresso della pienezza dei popoli nella tua Chiesa". (Trad. latina: "Oremus et pro Iudaeis. Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum. Oremus. Flectamus genua. Levate. Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen."). (Trad. inglese: "Let us also pray for the Jews: that God our Lord might enlighten their hearts, so that they might know Jesus Christ as the Savior of all mankind. Let us pray. Let us bend our knees (kneel). Please rise. Almighty and eternal God, whose desire it is that all men might be saved and come to the knowledge of truth, grant in your mercy that as the fullness of mankind enters into your Church, all Israel may be saved, through Christ our Lord. Amen.").
Sono state eliminate parole come "cecità", "tenebre" e frasi come "tolga il velo dai loro cuori", tutte espressioni richiamate dalla letteratura paolina (2 Corinzi 3:13-16; 4:3-6;), ma rimane sempre l'intestazione della preghiera "per la conversione gli ebrei" e, più in generale, il suo significato proiettato verso una futura conversione degli ebrei, questione fortemente criticata dalle varie comunità ebraiche della diaspora, sopratuttto da quella americana, per la volontà di eliminare l'identità ebraica. A mio avviso, rimuovere questi termini offensivi va nella giusta direzione ma si deve sottolineare come le comunità ebraiche non possano e debbano intromettersi nella formulazione di una preghiera di altra fede. Le modifche non la rendono più offensiva e non giustificano ancora critiche. Il contesto della preghiera universale del Venerdì Santo per tutti gli uomini risalente alla prima Cristianità (cfr. 1 Timoteo 2:1-7) evidenzia la centralità di Gesù e della Croce per la salvezza dell'intera umanità, ebrei inclusi. Proprio la vocazione universale della Chiesa cattolica
(a differenza dell'ebraismo) e il suo dogma principale suggeriscono come non ci sia alternativa al corpo di Gesù Cristo per la salvezza. In questo quadro penso sia più che legittimo pregare per gli ebrei e invocare la loro conversione proprio durante la celebrazione del Venerdì Santo dove Gesù è morto per tutti. Sarà proprio San Paolo, l'Apostolo dei Gentili, che nella lettera ai Romani (9:1-5) vedrà nell'incredulità del popolo ebraico la colpa principale e l'ostacolo verso una conversione più intima che subìta esternamente:
"Perché l'incredulità dei Giudei
Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dá testimonianza nello Spirito Santo:
ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen."

lunedì, dicembre 03, 2007

Diritto internazionale vs negoziati politici

Ci sono stati diversi negoziati fra Israele, paesi arabi e palestinesi per tentare di comporre la conflittualità in Medio Oriente ma perlopiù hanno prodotto fallimenti, acceso gli animi delle popolazioni coinvolte, innescato e esacerbato veri e propri scontri. Ad esempio, dalla firma della Dichiarazione di principi di Oslo nel settembre del 1993 fino al 2000, Israele ha aumentato considerevolmente gli insediamenti (e annesse infrastrutture) nei territori occupati, raddoppiando la presenza dei coloni fino a 400'000 unità. Ma i negoziati, in sé positivi, possono cancellare la storia? Mi spiego meglio, sull'altare delle trattative si possono sacrificare miriadi di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, dell'Assemblea Generale, atti e principi fondamentali di diritto internazionale? Direi proprio di no. In dettaglio, ci viene in aiuto l'articolo 47 della IV Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra (1949):
"Le persone protette che si trovano in un territorio occupato non saranno private, in nessun caso e in nessun modo, del beneficio della presente Convenzione, nè in virtù di un cambiamento qualsiasi apportato in seguito all’occupazione delle istituzioni o al governo del territorio di cui si tratta, nè in virtù di un accordo conchiuso tra le autorità del territorio occupato e la Potenza occupante, nè, infine, in seguito all’annessione, da parte di quest’ultima, di tutto il territorio occupato o parte di esso."
E' evidente che in negoziati di pace esiste un forte squilibrio di potere fra l'occupante (Israele) e l'occupato (OLP), e questo articolo è stato inserito prorio con l'obiettivo di scoraggiare il primo a usare metodi e mezzi che per natura possiede, a limitare la discrezionalità di entrambe le parti, ma soprattutto a legalizzare politiche e fait accompli che confliggono con il diritto internazionale. Il punto centrale voglio che sia chiaro: l'asse centrale in un processo di pace complesso come lo è quello fra israeliani e palestinesi deve essere l'applicazione di norme internazionali, senza pregiudicare l'autodeterminazione del popolo palestinese. Politica e diritto anche in questo caso possono facilmente scontrarsi. Tuttavia, una pace duratura che affronti scottanti disaccordi può scaturire solo da concreti passi avanti nell'applicazione in buona fede di regole condivise dalla Comunità internazionale.

martedì, novembre 27, 2007

More sticks than carrots

Ecco una breve lettera ma di ampio significato inviata alla redazione dell'"Economist" a commento di un editoriale. Il contesto riguarda l'imminente inizio dei negoziati ad Annapolis, capitale del Maryland, per preparare una soluzione politica al conflitto tra israeliani e palestinesi. A molti osservatori, l'incontro patrocinato direttamente dall'Amministrazione Bush si risolverà in un nulla di fatto e diventerà solo l'occasione per foto di gruppo, timidi sorrisi e strette di mano. Relativamente libero da condizionamenti politici data l'impossibilità di ricandidarsi nel 2008, l'inquilino della Casa Bianca dovrà esercitare tutta l'influenza che detiene in modo da soddisfare i legittimi diritti dei palestinesi, a lungo negati, e creare tutti i presupposti per una coesistenza (obbligata) pacifica.
SIR - Have you read "The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy"? According to Walter Russell Mead ('Foreign Affairs'), "a fresh start in the peace process requires carrots, not sticks", but since 1967 to date every U.S. government granted Israel a big carrot, namely an unconditional financial, military and diplomatic support. In other words, it led a half million (East Jerusalem included) of settlers in the Occupied Territories in total disregard for the international law. In Annapolis ("Mr Palestine", November 24th), George Bush should wield more sticks than carrots to make the "vision" of a two-state solution into reality.
Nazzareno Tomassini

sabato, luglio 14, 2007

Da "perfidi ebrei" a "fratelli maggiori": i rischi del ritorno alla Messa tridentina

Con la pubblicazione della lettera apostolica Summorum Pontificum ("Dei Sommi Pontefici"), in forma di motu proprio, Papa Benedetto XVI ha facilitato l'uso della liturgia di rito tridentino secondo il messale romano promulgato da Papa Giovanni XXIII nel 1962, "mai abrogato". L'iniziativa di Ratzinger certamente ha l'obiettivo principale di ricucire la strappo con i seguaci tradizionalisti dell'arcivescovo francese Marcel Lefébvre, scomunicato nel giugno 1988, ma potrebbe anche essere, suo malgrado, foriera di fondamentali conseguenze nei rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo.
Nel 1570, dopo il Concilio di Trento, Papa Pio V promulgò il messale romano che sostanzialmente rimase invariato, a parte la disciplina della notte di Pasqua e della Settimana Santa disposta da Papa Pio XII e la versione "emendata" di Papa Giovanni XXIII del 1962, fino alla revisione liturgica con cambiamenti di ampia portata decisa dal Pontefice Paolo VI nel 1969, in vigore dal 1970. Con questa premessa, cerchiamo di approfondire e capire meglio il rapporto tra la liturgia cattolica vigente e l'ebraismo.
Fino al 1959, alla preghiera universale del Venerdì Santo "per la conversione degli ebrei" il sacerdote pronunciava: «Preghiamo anche per i perfidi Ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed anche essi (ri)conoscano il Signore nostro Gesù Cristo. Dio onnipotente ed eterno, che non allontani dalla tua misericordia neppure la perfidia degli Ebrei, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per la cecità di quel popolo, affinché (ri)conosciuto Cristo, luce della tua verità, siano liberati dalle loro tenebre» (Trad. latina: "Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur"). Giovanni XXIII ha voluto, giustamente, eliminare l'aggettivo/sostantivo perfidi/perfidia dalla preghiera per evitare qualsiasi accostamento al significato assai denigratorio in italiano, benché il contenuto etimologico indichi mancanza di fede, incredulità nel non aver accolto la parola salvifica nella vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Lo svuotamento totale dell'antigiudaismo teologico (in opposizione all'antisemitismo) si ha, però, con Papa Paolo VI con la pubblicazione del nuovo messale romano nel 1970. Qui, la preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo cambia totalmente formula e contenuto: «Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua Alleanza. Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione. Per Cristo nostro Signore». A mio avviso, sono due preghiere appartenenti ad altrettanti riti liturgici pienamente equiparati da Papa Ratzinger, ma molto distanti nei loro significati, direi inconciliabili. Nel messale del 1962, nonostante siano state rimosse le parole perfidi/perfidia, rimane sempre l'intestazione della preghiera "per la conversione degli ebrei", assieme a termini ed espressioni offensive come "anche", "tolga il velo dai loro cuori", "cecità", "tenebre". Nella versione promulgata da Paolo VI, "espressione ordinaria" del rito latino, termini come "progredire" possono dare adito persino a ritenere che l'Antica Alleanza sia tutt'ora valida, creando non pochi problemi e confusione. Con il Concilio Vaticano II, soprattuttto grazie alla dichiarazione "Nostra Aetate" ("Nel nostro tempo") del 1965, la Chiesa ha intrapreso un cammino di riconcoliazione e dialogo religioso paritetico, sostenuto dalla riforma liturgica di Paolo VI e dalla prima visita di un Papa in una sinagoga nel 1986 a Roma, dove Giovanni Paolo II rivolgendosi alla comunità ebraica presente dichiarò: "Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo senso, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori". Così, se nell'arco di neanche trent'anni si è passato dal definirli perfidi per poi giungere a chiamarli affettuosamente fratelli maggiori, la volontà di Beneddetto XVI di liberalizzare l'antica messa tridentina segna un brusco stop dei risultati raggiunti e una regressione dei rapporti Chiesa-Ebraismo. E' necessario che la Chiesa chiarisca la questione in modo da riprendere il dialogo senza nessuna precondizione teologica, eliminando qualsiasi giustificazione che possa alimentare sentimenti antigiudaici.

domenica, marzo 11, 2007

Civiltà è riconoscere dignità alla Donna

Viene affermato da più parti che la cartina al tornasole per valutare il grado di civiltà di una società è il modo con cui questa tratta le donne e gli stranieri. Non c'è cosa più veritiera.
Il nostro etnocentrismo è un pericolo perché non ci fa capire appieno il mondo appena fuori i nostri ben limitati orizzonti, così gli stereotipi dell'immigrato, del "diverso", dello strano, conducono troppo velocemente a etichettare lo straniero come criminale, vagabondo, una persona su cui puntare il dito e basta. La diversità, che è insita, spesse volte non è sinonimo di opportunità e conoscenza ma di paura e discriminazione. Il nostro cervello preferisce percorrere strade corte, ed è più facile passare a delle superficiali conclusioni che aver voglia di conocerere e capire le complessità che sono dietro. In sostanza, è uno strumento di difesa. Per le donne il problema è diverso ma assai più doloroso. Qualche mese fa, ho letto che la causa prima di morte o menomazione permanente delle donne nel nostro opulento e benestante Occidente sia imputata proprio alla violenza familiare (marito, fidanzato, convivente, padre), addirittura prima del cancro e delle guerre. Una notizia che mi ha esterrefatto. Lo stesso concetto viene ribadito da una recente indagine sistematica dell'Istat che vi invito a leggere ("La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia", 2006). A mio parere, il dato più allarmante che emerge da questa ricerca riguarda la violenza psicologica e la relativa non consapevolezza del popolo femminile di essere vittime, o almeno di non valutare serenamente la violenza come causa di una denuncia alla magistratura. In altre parole, le donne sono vittime anche della società stessa in cui vivono, permeata di una cultura maschilista in cui l'uomo è padrone in ogni sfera (lavorativa, religiosa, nei mass media). Un dato spaventoso: "Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner. Anche nel caso degli stupri la quasi totalità non è denunciata (91,6%). È consistente la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9% per quelle subite dal partner e 24% per quelle da non partner)". Lo stato d'animo delle vittime che fa più riflettere è la vergogna, oltre alla paura. Occorre parlare di questo vero dramma, denunciarlo pubblicamente, sensibilizzare le persone che proprio all'interno della famiglia "cristiana" accadono e continuano ad accadere fatti di violenza contro le donne. E' inaccettabile. La Chiesa italiana e la Santa Sede non intervengano nell'arena politica italiana per difendere a spada tratta la famiglia o rigettare altri tipi convivenza, non si rendano complici di questa IPOCRISIA e della sofferenza di tante donne, predichino con più incisività l'uguaglianza e la piena dignità fra donna e uomo ("Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello" Luca 6,41- 42). Omettere è peggio che commettere, è più subdolo. Solo il fatto di riempire ogni 8 marzo di appelli per il rispetto dei diritti della donna è sintomo, secondo me, di un'enorme arretratezza culurale, di quanta strada si debba fare sul tema, ed evidenzia come ciò che dovrebbe essere scontato non lo è affatto. Nazzareno Tomassini

martedì, gennaio 02, 2007

Lettera alla giornalista Fiamma Nirenstein

La guerra come ordinaria follia

"Signora Nirenstein, sono fermamente contrariato per il suo articolo "la guerra che verrà" nel numero odierno di Panorama in edicola.

Senza voler entrare nel dettaglio, mi sembra evidente che Lei alimenti con questo articolo il dibattito di chi sostiene che ORAMAI siamo trascinati in un clima di guerra e conflitto permanente, già di per se stesso pubblicizzato dalla "guerra al terrorismo" americana. Lei parla sempre di nemici, terroristi/smo, guerre future e imminenti date per certe come se stesse chiacchierando al bar, che sò, di risultati sportivi. Mi piacerebbe, invece, che lei parlasse più spesso di diritti umani, diritto internazionale e umanitario, giustizia, tolleranza, cooperazione. Ponesse l'accento su questi aspetti. Con questo modo fare giornalismo istiga alla consapevolezza di credere che il mondo contemporaneo, soprattutto dopo i tragici avvenimenti dell'undici settembre 2001, viva in un clima di guerra permanente e di paura. La sicurezza come giustificazione di ogni comportamento. Tuttavia, credo che dobbiamo distinguere nettamente lo stato di guerra (l’eccezione) dallo stato di pace (la regola), e non appiattire il concetto guerra a un ornamento della politica internazionale. La Carta dell'ONU, dopo il tremendo massacro europeo e non del '900, intima a ribadire questo principio. Le sembra di ordinaria amministrazione, come ha scritto, che le autorità israeliane nei prossimi dieci anni si prefiggano "il compito di vincere una guerra di lunga durata e non convenzionale"? Sadicamente, sembrerebbe che si aspetti con ardore lo scoppio di un altro conflitto... In tal caso, perché? Cui prodest ("a chi giova")?

Lei elenca, giustamente, le minacce che incombono sulla sicurezza di Israele quali, Hamas, Hezbollah, Iran e Siria, ma si è mai chiesta cosa Israele può fare seriamente per la pace sua e dei suoi vicini, senza cercare ostinatamente la via dello scontro? Sono certo che qualche esempio saprà darmelo.

Queste sono questioni di tale complessità che non devono essere affrontate in modo semplicistico e superficiale. Coerenza e obiettività sono pilastri di un buon giornalismo al servizio della collettività. Si interroghi, rifletta e mi faccia sapere."

Nazzareno Tomassini

lunedì, novembre 13, 2006

I "fattori" che sono alla base del conflitto arabo-israeliano

Prendo spunto da una chiara dichiarazione di un funzionario del Nazioni Unite per riaffermare quali fattori (e uso un eufemismo), a mio parere, compongono le vere radici nel conflitto tra Israele e il popolo palestinese. Non mi soffermerò sui tanti crimini di guerra (impunti) compiuti dell'esercito israeliano questa estate a Gaza (più di 300 morti e per la maggior parte civili, mentre era in corso la guerra con il Libano), sulle tante incursioni, rastrellamenti, bombardamenti aerei e non (e poi alcuni dicono che la Striscia di Gaza non ha più lo status di territorio occupato...) che giornalmente terrorrizza e uccide in Palestina, sul recente massacro di Beith Hanoun, sul vergognoso veto al Consiglio di Sicurezza degli Stati Unti su una risoluzione solamente di condanna di Israele. La violenza chiama violenza e il terrorismo chiama il terrorismo. Ecco il passo:
"Israel's practice of confiscating Palestinian land, demolishing Palestinian homes, closure and the implantation of illegal settlements also continues throughout the West Bank and Jerusalem, including those in connection with the Separation Wall. I also have learned of the colonization activities in the Jordan Valley, in particular, including the active involvement of the World Zionist Organization and Jewish National Fund. Such dispossession and destruction across the Green Line, within the continuum of population transfer policies and practices, are factors that underlie the ongoing conflict. I urge the State of Israel to cease these practices and restitute confiscated lands in the interest of regional peace and security.
"

lunedì, ottobre 02, 2006

Colonization and occupation

I read your (Gareth Evans) article "Israel and the Quartet Must Seize the Moment" and I think this paper lacks of a fundamental word: COLONIZATION. This word implies the policy of EACH Israeli government from 1967, half milion of settlers in the occupied territories (including East Jerusalem), land grab and expulsion, basic rights denied. In essence, war crimes (according to the International Criminal Court). But above all, this facts on the ground are unabating (see the latest tenders issued).
Every conflict is made up of priority and I strenuously persuaded this is the biggest and hardest obstacle to settle the arab-israeli dispute. The International Community have to deal with the Israel’s colonization of Palestine. Do you agree with me?

Nazzareno Tomassini

giovedì, agosto 17, 2006

A regime of dispossession

Ecco come voglio intitolare un acuto articolo della brillante Amira Hass apparso su Haaretz.com, un regime di privazione, di spoliazione che nega con i fatti i più elementari diritti del popolo palestinese (vedi il post 'Israele e i diritti del popolo palestinese'). Una politica, un sistema civile e militare che va anche a detrimento di Israele stesso. Ricordo che la sicurezza non si ottiene con la forza, con le operazioni militari, con l'occupazione e l'incessante confisca illegittima di terre, con l'espulsione di civili, ma con il compromesso e l'accordo basato prima di tutto sul riconoscimento dei diritti di ciascuna parte coinvolta e sul diritto internazionale. Un articolo che, ovviamente, vi invito a leggere.

sabato, agosto 12, 2006

Dalla parte di Annan

Dopo estenuanti trattative al Consiglio di sicurezza da parte dei principali attori dell'arena internazionale, è stata adottata all'unanimità la risoluzione 1701 per porre fine immediatamente al grave conflitto in Libano e Israele e aprire verso un soluzione politica della crisi. Sui vari problemi che ha dovuto affrontare il Consiglio, quello mediorientale è certamente il più spinoso, ed è pienamente giustificabile che persino i termini, le sfumature, le ambiguità siano al centro di aspri dibattitti. In fondo, sono le parti direttamente in causa a rivedincare un'interpretazione piuttosto che un'altra più consona ai propri interessi nazionali. A questo riguardo, famosa è stata la Risoluzione 242 dove nel testo inglese sul ritiro israeliano è stato inserito volutamente da ("from") e non dai (from the) territori conquistati nelle guerra dei Sei giorni, benché nella versione francese e spagnola viene risolta ogni incertezza interpretativa.
Ma non voglio analizzare quest'ultima Risoluzione che nel complesso ritengo buona e soddisfacente, né tanto meno avventurarmi in speculazioni semantiche. Desidero porre in evidenza come l'esito positivo della riunione al Palazzzo di vetro sia arrivato troppo tardi, con una latitanza di un mese dall'inizio delle ostilità. Troppo, per un organo che ha "la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale" (vedi il mio post precedente 'Un crimine contro il proprio futuro, un crimine contro la pace in Medio oriente'). E dopo un mese di guerra le fredde cifre parlano chiaro: più di mille morti libanesi e 3600 feriti con un milione tra profughi interni e rifugiati, più di 100 morti israeliani, un paese (il Libano) distrutto e da ricostruire. Per questo sono soddisfatto che il Segretario Generale Kofi Annan abbia voluto richiamare, nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza, questo fondamentale punto. Ecco il passo della dichiarazione:
"I would be remiss if I did not tell you how profoundly disappointed I am that the Council did not reach this point much, much earlier. And I am convinced that my disappointment and sense of frustration are shared by hundreds of millions of people around the world. For weeks now, I and many others have been calling repeatedly for an immediate cessation of hostilities, for the sake of the civilian population on both sides who have suffered such terrible, unnecessary pain and loss. All members of this Council must be aware that its inability to act sooner has badly shaken the world's faith in its authority and integrity".

mercoledì, agosto 09, 2006

Terrorism under the guise of self-defence

Pubblico una lettera che ho inviato all'autore dell'articolo "Naked Aggression" presente nell'edizione on line del quotidiano 'The New York Sun'. L'identica lettera si può trovare anche nel Blog "Opinio Juris".
Distinguished Professor Kontorovich, I read your article and I have to tell you there are a lot of shortcomings. As you know, the Preamble of the UNSC 242 and other UN documents/international material, literally states "the inadmissibility of the acquisition of territory by war". It's a fundamental principle that rules the international order since the end of World War II and a peremptory norm of the customary international law, regardless of the kind of war (in self-defence or not). First of all, the International Community (except Israele and the United States, plus some ministate), the UN, the ICRC and the ICJ in the latest advisory opinion on the legality of the barrier/wall in the Occupied Territories, have reiterated several times that Israel has the status of occupiying power in the territories captured by Israel in the Six-Day War (such as the Sheba Farms). Accordingly, the Fourth Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War is entirely applicable to such territories, and not only some vague "humanitarian provisions" that claim Israel. Furthermore, several customary norms of the First Protocol are also applicable (artt.48-52). I agree with you that the Security Council has certified the Israel's withdraw from Lebanon in 2000, that the Sheba Farms belong to Syria, and that the Hezbollah claim the area as part of the Lebanese territory and exploits this pretext to continue the cross-border warfare. But, is there a state of pace or a state of war between Israel and Lebanon? Do you really believe that Israel destroyed Lebanon in self-defence? Do you think more than one thousand casualties, mostly children, is self-defence? Israel employed cluster bombs (see HRW report) and withe phosphorus munitions in populated areas of Lebanon. I briefly quote the statement of Mr. Jan Egeland, Under-Secretary for Humanitarian Affairs, before the Security Coucil on the humanitarian situation in the Middle East: "When there are clearly more dead children than actual combatants, the conduct of hostilities must be reviewed... If there are many more dead children in a conflict than armed men, there is something fundamentally wrong, not only with how the armed men behave and where they hide, but also with the way the response is being conducted" (28 July 2006). I consider these Israeli actions "war crimes" and "terrorism", just as the indiscriminate firing rockets into civilian areas in Israel by Hezbollah. But the actions of the warring parties are extremely different, and so the consequences and responsibilities of each other. Do you agree with me?
Nazzareno Tomassini Fano (PU) ITALY
N.B. Please visit my Blog "Divide et Impera" http://divideandrule.blogspot.com

lunedì, luglio 31, 2006

Coerenti fino in fondo...

Anche davanti a una strage di bambini, il Consiglio di Sicurezza quando tratta la crisi mediorientale non si smentisce. In una riunione d'emergenza, il Segretario generale Annan aveva chiesto con forza una "condanna senza mezzi termini" di Israele, mentre il Consiglio ha deplorato "la perdita di vite umane e l'uccisione di civili..." grazie all'intransigenza del baffuto ambasciatore americano Johnn Bolton . Si rammarica, si compassiona, si compiange ma niente di più, nessuna decisa condanna di chi ha commesso un crimine di guerra. Tanto, se si farà, sarà tutto coperto da un Trattato di pace.
Nessun lontanissimo accenno a un cessate-il-fuoco. Si continua, a discrezione di Israele.

domenica, luglio 30, 2006

Un crimine contro il proprio futuro, un crimine contro la pace in Medio oriente

Sono sconcertato e provo vergogna verso i paesi leaders della Comunità internazionale per non aver intimato da subito un chiaro alt alle operazioni militari in Libano e Israele/Territori occupati. La credibilità delle Nazioni Unite, e in primis del Consiglio di Sicurezza, è stata distrutta. Quest'ultimo è, e continua ad essere, impotente, come sempre grazie al veto americano, di fronte a una immane tragedia che ha provocato la morte già (per non parlare dei feriti, a migliaia) di quasi 700 libanesi e 60 israeliani, per la maggior parte civili (per non parlare dei palestinesi nei territori occupati che muoiono quotidianamente senza fare clamore). E' riuscito a fatica, per le obiezioni della delegazione statunitense di non esporre chiaramente la responsabilità dell'esercito israeliano nel "deliberato" e "coordinato" attacco contro una postazione ONU nel sud del Libano che ha causato la morte di quattro osservatori, a partorire un comunicato dove si esprime che "the Security Council is deeply shocked and distressed by the firing by the Israeli Defense Forces on a United Nations Observer post in southern Lebanon on 25 July 2006, which caused the death of four United Nations military observers". Mentre si bombardava e si moriva, il principale organo delle Nazioni Unite che detiene "la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale... al fine di assicurare un'azione pronta ed efficace" (art. 24 Carta ONU), non aveva altro che dibattere una risoluzione sulla Corea del Nord per i suoi test balistici. Certamente, se la Comunità internazionale non è unanime nel richiedere il cessate il fuoco senza condizioni, a qualcuno conviene. Human Rights Watch ha denunciato l'uso indiscriminato delle micidiali bombe a grappolo (cluster bombs) da parte dell'aviazione israeliana su aree urbane, così come le bombe al fosforo bianco. I produttori americani di armi che riforniscono Israele, via Londra, sorridono e gioiscono alle tonnellate di bombe che vengono riversate in Libano svuotando gli arsenali, rassicurati dalle dichiarazioni pubbliche del Presidente Bush e del Segretario di Stato Rice che sottolineano una riluttanza a fermare la forza militare di Tel Aviv. Solo una semplice moderazione (restraint) delle operazioni che, in sostanza, tradotta nel gergo militare equivale a un semaforo verde. Tralasciando le disquisizioni e le speculazioni politiche sulla ricerca delle cause del precipitarsi di questa crisi attuale in Medio oriente, cito alcuni passi della dichiarazione pronunciata davanti al Consiglio di sicurezza dell'ONU di Jan Egeland, alto funzionario dell'ONU e capo delle questioni umanitarie di ritorno dalle zone disastrate che ha toccato con mano gli effetti di una guerra brutale e insensata:

"The Middle East is at a crossroads. My fear is that more violence, more missiles, more terror, and more destruction creates more anger, more hatred, and more disillusioned youths, and ultimately leads to less security throughout the region. Civilians on all sides are the losers of this endless cycle of violence...I urged the Foreign Minister and the Defence Minister of Israel in my meetings to review the conduct of the air strikes and bombardments to avoid excessive use of force that inflicts disproportionate suffering on the civilian population. When there are clearly more dead children than actual combatants, the conduct of hostilities must be reviewed. At the same time, I repeatedly and publicly appealed from within Lebanon that the armed men of Hizbollah must stop their deplorable tactic of hiding ammunition, arms, or combatants among civilians. Using civilian neighborhoods as human camouflage is abhorrent and in violation of international humanitarian law... Civilians must be protected at any cost. If there are many more dead children in a conflict than armed men, there is something fundamentally wrong, not only with how the armed men behave and where they hide, but also with the way the response is being conducted".

Tutto questo si chiama "legittima difesa" oppure "terrorismo" e "crimini di guerra"?